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PALERMO DI SCENA
Nascita, vita e morte di una speranza.

 

 

LUGLIO - SETTEMBRE

CITTÀ DI PALERMO ASSESSORATO ALLA CULTURA

 

 IL PROGETTO

Tutto comincia quando la vecchia classe politica è spazzata via e un'aria nuova affluisce ovunque. I primi risultati del cambiamento si manifestano nel 1995, anno in cui si rinnova il Festino e nasce Palermo di Scena, manifestazione di cultura e spettacoli che va dal 14 luglio al 14 di settembre, con una scansione di quattro eventi a sera, e che in un paio d’anni si accreditò come una delle più grandi manifestazioni d'arte d'Europa. La rapidità del successo, tuttavia, non è da attribuirsi soltanto all'alto livello delle scelte e alla felicità di alcune invenzioni, ma anche, se non soprattutto, a un'idea civile che stava a fondamento della sua ragione d’essere.
Prima che calendario di spetta­coli e mostre di arti varie, Palermo di Scena era un progetto sociale con delle finalità: stabilire un rapporto con il cittadino, fornirgli un'occasione di ulteriore crescita culturale, trasformare l'or­goglio di appartenenza alla città da sentimento astratto in strumento d'ambizione reale. E con ciò non si vuole intendere che ci fosse una civiltà da recu­perare, ma soltanto che si avvertiva l'esigenza di ricostruire le condizioni per cui una civiltà in le­targo potesse svegliarsi. 

LA MANIFESTAZIONE

Palermo di Scena non doveva dunque offrire quello che la televisione forniva già in dosi massicce, ma consentire, come consentì, di far conoscere a chi non li conosceva o li co­nosceva poco e male, il balletto, la prosa, la musica classica e jazz, il grande cinema d’autore, la fotografia e, anche la scultura, la pittura, la letteratura (attraverso incontri con artisti tra i più prestigiosi del nostro tempo) e persino l’artigianato nelle sue varianti teatrali e cinematografiche. Ed ecco l'esibizione delle maestranze di Cinecittà, impegnate a mostrare i trucchi e i segreti, dei quali il cinema si serve per ottenere sequenze spettacolari - mentre Nanni Loy, con l'ausilio di doppiatori, rumoristi e sincronizzatori, spiegava come nasce e soprattutto come si costruisce e si monta un film.
Svariando dal cinema all’arte in genere, ecco la mostra di oggetti, veri cimeli, lasciati in omaggio da personaggi illustri al barman dell'hotel delle Palme Toti Librizzi e da lui amorevolmente raccolti e custoditi: disegni, schizzi, una pipa, una penna, una banconota, con dediche di Guttu­so, Bruno Caruso, Kokoschka, Peyrefitte, Fiu­me, Cantor, Mario Luzi, Umberto Eco, Shuller, Madame Pompidou, Francis Ford Coppola, Marcel Carnè, Christopher Paderesky e Von Karajan che lasciò come ricordo, dopo, averla firmata, la bacchetta con la quale aveva diretto un concerto al Teatro Massimo.
E ancora la mostra di trenta piccoli palcoscenici, ciascuno del­la dimensione di un televisore a 28 pollici, rico­struiti nel dettaglio dagli artisti Zingales, Venezia e Lo Manto, con quinte e riflettori in miniatura, che riproducevano trenta luoghi della città: piaz­ze, strade, teatri, edifici e monumenti, modellati con un realismo che non escludeva anzi includeva, l'invenzione di un particolare, a coglierne un aspetto nascosto, un significato perduto, a fondere insieme il reale e il surreale (che in Sicilia, spesso, coesistono e coincidono). Trenta piccoli palcoscenici, ubicati nel cortile del Palazzo di Città; sicché si aveva una Palermo in sedicesimo racchiusa nel cuore della Palermo rea­le, che a sua volta le stava tutta intorno. E uno spazio dedicata a Totò, principe De Curtis, con scritti autografi del comico, e foto, e filmati inediti e documenti su episodi sconosciuti della sua vita. E il Percorso di lu­ce di Vittorio Storaro, un centinaio di fotogrammi tratti da capolavori del cinema (di cui Storaro era direttore della fotografia), montati su pannelli luminosi, allestita nel foyer del teatro Massimo, e che costituì una sorta di prologo alla sua riapertura. Nei giardini delle ville comunali, giochi e spettacoli per i bambini. Cito per tutti, Le Nozze di Figaro di Mozart nell’allestimento delle Marionette di Praga. E nei vicoli, tra via Alloro e via Torremuzza, la Notte delle Marionette, dove le marionette, affacciandosi dai balconi illuminati interloquivano vivacemente secondo caratteri e tipologie.
Palermo di scena, grande manifestazione internazionale d’arte: mostre di vario genere e calendario di spettacoli (quattro a sera altri di pomeriggio per bambini), incontri con giornalisti e intellettuali di prestigio, mostre di scultura di grandi artisti, NEI LUOGHI PIÙ SIGNIFICATIVI E SUGGESTIVI DELLA CITTÀ, dal 14 luglio al 14 di settembre . In più.  e la presenza di fantasisti, artisti di strada e delle bande musicali di tutto il mondo che, oltre a girare per le vie di Palermo, suonando e regalando allegria, si esibivano di volta in volta, al Giardino inglese, al Palchetto della musica del Foro Italico.

 

Palchetto della musica del Foro Italico

Palchetto della musica di Piazza Politeama

 

LA RICONQUISTA DEI LUOGHI E DEI QUARTIERI

Altro effetto di Palermo di Scena fu la riconquista di quei luoghi d’interesse architettonico e storico, colpevolmente trascurati in passato e, finalmente, restaurati e restituiti alla città, e utilizzati da Palermo di Scena come spazi teatrali.

Chiostro di Casa Professa

 

.... il chiostro di Santa Maria del Gesù,  Teatro del Sole, Villa Trabia, i Cantieri Culturali alla Zisa, il Teatro Garibaldi, Villa Castelnuovo e Santa Maria dello Spasimo, dal nome di un dipinto di Raffaello che non si trova a Palermo ma a Madrid, al Museo del Prado - destini delle cose di Sicilia! destini travagliati, ché nel corso dei secoli, lo Spasimo è stato via via convento, teatro, lazzaretto e in ultimo discarica di rifiuti; ricostruito da una cooperativa di ex detenuti, con una spesa di cento milioni rispetto ai tre miliardi previsti, divenne luogo ideale per concerti, letture, recite e altro.

Santa Maria dello Spasimo

 

Infine (ma l'elenco non è perciò esaurito), la proie­zione di un filmato di Valerio Marino, siciliano di Modica, realizzato dall’Istituto Luce da un’idea di Tonino Pinto e su richiesta di Palermo di Scena, che documenta, con un piglio più da film che da documentario, la storia della città dagli inizi del secolo diciannovesimo alle soglie degli an­ni sessanta: la costruzione del porto di Palermo, i matrimoni dei principi ereditari delle monarchie eu­ropee, la Targa Florio, le ville e i giardini affol­lati, i teatri gremiti, le cerimonie istituzionali, le feste re­ligiose e laiche; un insieme che emozionò a tal punto i palermita­ni, da indurmi a riproporlo in chiusura di manifestazione, con una trovata di ruffiana teatralità: alle 21 e 30 esatte del 16 settembre 1995, ad annunciare l’inizio della proiezione di Ieri a Palermo (titolo del film) fu il suono delle sirene delle navi alla fonda nel porto della città - come a dar segno della volontà comune di riconquistare il proprio passato e il proprio futuro.
Con Palermo di Scena si rese anche possibile frequentare, senza rischi, quartieri che prima erano da evitare. Alla loro bonifica contribuì l'iniziativa dei caffè concerto; sicché, la sera, a Palermo, sembrava di stare a Parigi, benché per mio conto sognassi che un giorno, stando a Parigi, si potesse dire che sembrava di stare a Palermo.
Palermo di Scena diventò così un investimento finalizzato allo sviluppo del turismo e del commercio. L'affluenza in città di pubblico nostrano e foresto, riempì, caffè, risto­ranti, alberghi, botteghe, negozi; favorì la riappropriazione da parte dei cittadini d’interi quartieri, per anni abbandonati nelle mani di borsaioli, imbroglioni e scippatori; i quali, a loro volta, emulando quan­ti si erano dati un lavoro intorno ai luoghi di Palermo di Scena, s’inventarono un mestiere; a dimostrazione che opportunità di onesto guadagno, riducono criminalità e malaffare.
La città ha così scoperto spa­zi che non conosceva o che aveva dimenticato e i palermitani, soprattutto i meno abbienti, hanno avuto modo di assistere, forse per la prima volta, scopren­doli e apprezzandoli, a una commedia, a un balletto, a un concerto, allestiti non nei quartieri poveri ed emarginati (dove si era soliti portarli con l’unico risultato di perpetuarne l’emarginazione), non nelle piazze o per le strade, dove la precarietà strutturale e la fruizione gratuita, rumorosa e disattenta, ne avrebbero svilito il valore e mortificato il significato, ma in luoghi circoscritti e attrezzati.
Palermo di Scena, infine, coltivò l’ambizione di farsi mezzo per una nuova immagine della città, danneggiata da decenni di corruzione politica, d’incontrollate (quando non protette) attività criminali, cercando di cancellare il binomio Palermo-mafia, per sostituirlo con il binomio Palermo-cultura.
M
a la manifestazione non è tutta qui, vi confluirono i nomi più prestigiosi della cultura italiana e internazionale: attori, pittori, scultori, giornalisti, scrittori, musicisti, fra i quali:

 

RyuichiSakamoto2007.jpg

Riuychi Sakamoto

 

Enzo Biagi

Hans Jürgen Gerung

Giorgio Abertazzi

 

Bruno Caruso, Carmelo Bene, Nino Franchina, Carlo Cecchi, Gianni Minà, Steve Lucy, Miriam Mafai, Enzo Bettiza, Igor Man, Vincenzo Consolo, Josef Svoboda, Nanny Loy, Luca De Filippo, Laura Betti, Vittorio Storaro

 

Sylvie Guillem

Laurent Hilaire, Robert Cahen, Tommaso Trak, Tony Bennet, Michele Prisco, gli Angeli di Lione, Els Comediantes e, infine, le compagnie Jerusalem Khan Theater e Al Kasaba Quds Theater (ebrei e musulmani uniti nel segno dell’arte), e tanti altri, compresi i componenti della produzione locale: e per locale non s’intenda mi­nore, ché gli artisti palermitani attendevano solo l'occasione di mostrarsi e confrontarsi, per imparare e insegnare.

 

Josef Svoboda - regista scenografo

Dario Fo, Franca Rame,

 Isabelle Huppert

GLI ARTISTI DELLA CITTÀ

Fin dall’inizio, Palermo di Scena si è proposta come punto di arrivo, traguardo, per gli artisti della città. La tendenza di distribuire denaro pubblico senza criterio (che non fosse quello clientelare), andava fermata; un’amministrazione comunale responsabile fornisce mezzi, non fa elemosine che mortificano chi le riceve proprio nel momento in cui sembrano favorirlo. Soltanto un parametro di scelta basato sul merito, tutela la dignità di tutti; prevalesse la benevolenza o la carità cristiana, inclusi ed esclusi sarebbero relegati al ruolo di postulanti.
Avere ridato decoro e stimoli agli operatori culturali della città è stata per Palermo di Scena, una sfida da vincere, un obiettivo da raggiungere; ché per troppi anni, con la complicità di politici acquiescenti, quanti si avvalevano del sostegno pubblico per progetti ripresentati identici ogni anno, con solo titoli diversi, finivano inconsapevolmente con l’uccidere se stessi e la propria creatività. È accreditandosi per l'alto livello dei suoi contenuti che una manifestazione può riversare poi quel credito su chi vi prende parte: dà quel che riceve e prende quel che dà; un circolo virtuoso, e anche un modo per offrire ai cittadini occasioni preziose per divertir­si e per pensare.
In più, il pagamento di un biglietto (sia pure con un costo più simbolico che reale) ricordava agli spettatori che l'arte non è solo talento ma lavoro e fatica., e che il teatro non comincia quando si apre il sipario, ma quando si apre il botteghino.
Suggerii inoltre (felicemente assecondato dal sindaco) di non lasciare posti riservati alle autorità, a indicare un’inversione di tendenza: non c’era più un viceré straniero (o un politico di una classe dirigente squalificata, che si comportava come un viceré) a governarci, ma un sindaco, sia pure primo cittadino, ma cittadino come gli altri, democraticamente eletto. Sicché sia Leoluca Orlando che il procuratore della repubblica di allora (di cui non ricordo il nome) sedevano, attorniati dalle scorte, dove capitava.
Palermo di Scena, infine, coltivò l’ambizione di farsi mezzo per una nuova immagine della città, danneggiata da decenni di corruzione politica, d’incontrollate (quando non protette) attività criminali..
Diversa da com’è stata concepita, Palermo di Scena sarebbe stata una manifestazione senza identità, demagogica e populista, simile alle feste che i viceré d’infausta memoria elargivano al popolo per distrarlo.
Ma la sua realizzazione è stata tutt'altro che facile.
Quando il sindaco ebbe la sconsideratezza di affidarmi la direzione artistica del Festino e di una manifestazione ancora da inventare, Palermo di Scena non esisteva neanche nel nome; ma lo trovai subito, dopo rapida riflessione: pensai che per la mia città fosse giunto il momento di salire alla ribalta, di es­sere appunto di scena.

Sconsideratezza del sindaco, dicevo, e non per esibizione di modestia, ma perché nessun precedente mi accreditava come direttore e organizzatore di eventi culturali. Su che poggiava, allora, la fiducia del sindaco nei miei confronti? Forse sulla mia passione per la città, nella convinzione (o nella speranza) che potesse trasformarsi in energia creativa. In effetti, da tanti anni, pensando e ripensando Palermo, vagheggiavo che si sarebbe potuto fare questo e quello.
Fu così che appena mi misi al lavoro, scoprii che sapevo cosa fare.

IL FESTINO DELLA CITTÀ DI PALERMO 

Il Festino è rappresentazione più laica che religiosa, che fa da prologo alle celebrazioni liturgiche del giorno dopo. Si racconta, sceneggiandola per le vie della citta, la liberazione di Palermo dalla peste, per opera di Santa Rosalia - che, in seguito a quel miracolo, sostituì definitivamente Santa Cristina nella protezione di Palermo, diventandone la nuova patrona.
Il fatto risale al primo ventennio del Seicento. Il Senato di allora prese a festeggiarne la ricorrenza in maniera solenne, affidando agli architetti Giuseppe Venanzio, i Marvuglia, padre e figlio  e Andrea Gigante, l’incarico di progettare, allestire congegni capaci di creare giochi d'acqua, di aria e di fuoco. S'instaura così una tradizione che, tuttavia, già agli inizi del Novecento perde la sua spettacolarità, e si addormenta in un rituale immalinconito, che si trascina senza sorprese per le vie della città.
Nel 1994, Mimmo Cuticchio, artista puparo di Palermo, con un coraggio di cui bisogna dargli atto, cercò di rinnovarlo; ma lo fece con pochi mezzi e molte difficoltà (a me, dopo, i mezzi non sarebbero mancati, ma nemmeno le difficoltà).
Quando l'anno successivo venne il mio turno, il mio primo pensiero fu di riportare il Festino ai fasti del Seicento, di recuperare quello spirito che, appunto perché antico si sarebbe ritrovato a esser moderno.
Ma il Festino seicentesco, la sua fattura, a quali professionalità atteneva? Era materia di teatro, ma non bastava. E di effetti speciali, ma non bastava, E di spettacoli au dehor, come li chiamano in Francia, ma non bastava. E di apparature, luminarie, macchinerie, ma non bastava. Occorreva un soggetto che compendiasse la molteplicità delle competenze e avesse insieme caratteristiche artigianali e artistiche; ché bisognava dar corpo anche alla peculiarità del Festino. Chiesi in giro a teatranti a cineasti e simili se non conoscessero per caso un soggetto così: Maurizio Scaparro mi parlò subito di Valerio Festi.
Ma a rendere felicemente fatale la mia ricerca, il pomeriggio dello stesso giorno in cui avevo parlato con Scaparro, su segnalazione di Mario Bellone, operatore culturale della città, scoprii che tra le pratiche ammassate in una scansia dell'assessorato, giaceva da un paio di anni una proposta dello stesso Festi, cui nessuno aveva dato riscontro - non so se per mancanza di fondi o d’intuito o di quel coraggio che le novità richiedono o di tutte e tre le cose. Ecco che ogni elemento misteriosamente si combinava e tutto confluiva verso un unico sbocco: Festi, con quel suo cognome sembrava predestinato a fare il Festino. Telefono. Mi risponde un palermitano. Credo di avere sbagliato numero; ma no, il numero è esatto. Il palermitano è Sandro Tranchina, il più vicino collaboratore di Valerio Festi..
Lo incontro (Festi non Tranchina), a casa mia, a Roma. Gli parlo del Festino, delle sue origini, della sua storia. Gli mostro alcune pubblicazioni e stampe d’epoca di carri allegorici e macchine di scena. Ne nasce un progetto. Il progetto del nuovo Festino, che divenne subito prologo e parte di Palermo di Scena, programma che già di suo prevedeva circa 140 tra spettacoli, quattro per sera, e manifestazioni varie, da luglio a settembre.
Quando illustrai in Consiglio comunale le caratteristiche di Palermo di Scena e del Festino, un consigliere disse: “Pino Caruso ci vuol far sognare”. Testuale. Come a sostenere che stavo raccontando fantasie e non progetti; ma i guai, i guai veri, cominciarono dopo.
Villa Trabia, sede di assessorati, tra cui quello alla cultura, ambito nel quale avrei dovuto operare, era in fase di restauro e pulitura: calcinacci, scale, operai, polvere... Lavorarci non sarebbe stato agevole. Inoltre, mancava proprio l'assessore alla cultura. Il precedente si era dimesso e il successivo non era ancora nella mente del sindaco (sarebbe stato nominato, a cose fatte, pochi giorni prima del Festino, nella persona del dottor Francesco Giambrone). In mezzo ci stavo io. Solo. O peggio, assistito (si fa per dire) da un funzionario scorretto che, soltanto per approntare quelle pratiche da portare all'approvazione e della Giunta e del Consiglio comunale, mi trascinò per mesi, rimandandomi da un lunedì a un venerdì e da un venerdì a un lunedì. Approvazione che in seguito, prima di arrivare, rimase per giorni e giorni sempre sul punto d'esser data, costringendomi a più riprese, come un padre in attesa del suo primo figlio, a lunghe passeggiate sino a tarda notte sotto le finestre illuminate di Palazzo delle Aquile. “Ne hanno discusso?” chiedevo. "No, si sono occupati d'altro". Ripasserò.

LA STANZA CHE NON C'È

Tutto questo senza che ancora mi fosse stata assegnata una stanza in cui sistemarmi per svolgere il mio lavoro. Mi arrangiavo, dunque, in spazi provvisori, o nella mia camera d'albergo, o in un bar, o al ristorante, carico di carte e cartelle; me le conducevo appresso un po' perché mi serviva averle sottomano e molto per sottrarle alla tentazione di alcuni topi d'ufficio che, in un paio di occasioni, non avevano resistito all'impulso di farle sparire. Mentre della stanza che avrei dovuto avere, tutti me ne prospettavano una da qualche parte e me la illustravano nei dettagli, vantandone la comodità e il conforto. “Ce ne sarebbe una - mi dicevano - all'assessorato al turismo in via Tal dei Tali; ha anche l'aria condizionata”. Oppure: “Potrebbe farti comodo quella, libera adesso, che c'è allo stadio e che servì come ufficio stampa durante i mondiali di calcio. È dotata di telefono e computer”.
Stanze che sognavo di notte e anche di giorno, mentre lavoravo dove potevo; e me ne apparivano in visione di tutti i tipi e grandezze: come a un credente la Madonna. La Stanza aveva per me qualcosa di mistico e di concreto insieme. Due volte chiesi, e ottenni, d'incontrarmi col sindaco per sollecitarne l’intervento; ma non successe nulla.
Un miglioramento, tuttavia, sembrò palesarsi a un certo punto: da una stanza che non c'era, passai a più stanze che in qualche modo c’erano, anche se non c’erano del tutto: potei utilizzare, ma per tempi brevi: da un paio di minuti a un'ora - una volta, persino per due ore - ma un’ora alla volta, stanze nelle quali, approfittando dell'assenza di un impiegato, m'imbucavo furtivamente e vi lavoravo sino al suo rientro; o stanze concessemi da chi s'impietosiva a vedermi randagio.
Capivo che ricostruire una città in sfacelo non era lavoro di un giorno. Occorreva tempo. Ma io, per quello che mi toccava di fare, non potevo aspettare: mi servivano subito un ufficio, un telefono e numerosi collaboratori. Ne ottenni, invece appena tre: Maurizio Spicuzza, uomo di teatro, Massimo Briguglia, architetto e Alfio Scuderi, che si offrì senza compenso (al quale, celiando, eravamo soliti dire che, se per questo primo anno lavorava gratis, in quello seguente avrebbe dovuto pagare qualcosa - il suo contributo comunque è stato fondamentale). A loro si aggiunse dall'esterno Ezio Trapani, commerciante con la passione del teatro, che mi fu vicino in quei giorni travagliati e che, in una circostanza drammatica, intervenne in modo risolutivo.

LA PREPARAZIONE 

Accadde la vigilia di un debutto. Le maestranze del Comune avevano montato a Villa Trabia un palcoscenico sul quale l'indomani si sarebbe dovuto esibire Sakamoto. Un bel palcoscenico, niente da eccepire; aveva un solo difetto: era dipinto a scacchi rossi e gialli; consono per una festa di quartiere, ma sconveniente per una grande manifestazione e per un artista di fama mondiale (celiavamo anche su questa concomitanza; Sakamoto, giallo di pelle, su uno scacco giallo, non lo avrebbe visto nessuno). Bisognava provvedere; ma era già notte e anche a dipingerlo io stesso dove avrei trovato i colori? Telefonai a Ezio Trapani. Soltanto lui, commerciante con ottime relazioni, avrebbe potuto fare il miracolo. Lo fece. Quella notte un negozio della città aprì... e colori e pennelli giunsero a Villa Trabia.
All'alba il palcoscenico era dipinto di un bello ed elegante grigio uniforme.

Ezio Trapani

Episodi così, nei miei anni di Palermo di Scena, ve ne sarebbero altri da raccontare; ma torniamo a quei giorni, dove tutto era ancora in fase di preparazione. Come Dio volle, il programma fu completato e distribuito, i manifesti affissi (ne era autore Enzo Venezia) e la sera del 14 di luglio del 1995, Palermo di Scena ebbe inizio con il Festino. Il nuovo Festino. Il successo fu immediato.
Sui volti dei palermitani si leggeva un felice stupore. Incominciava il cambiamento. Non era, ovviamente, tutto dovuto a Palermo di Scena; si stava, insieme, badando a una sistemazione e ricostruzione fisica della città, specie del centro storico; e altre iniziative erano partite in varie direzioni; ma la burocrazia restava indietro. Io ero ancora senza stanza e alcune garanzie di rapidità erano vanificate proprio da chi me le aveva promesse.
Il successo della Rassegna, tuttavia, cresceva; ma i giornali e le televisioni tacevano, con le sole eccezioni del Corriere della sera e delle emittenti locali (ma con molte lacune, omissioni, imprecisioni, distorsioni e parzialità). Scrissi ai direttori dei quotidiani e dei telegiornali nazionali per informali - perché informassero. Nessuno rispose.
Ma Palermo di Scena era nata, la rinascita avviata.
Dirigo la manifestazione sino al 1997, anno in cui concludo l'incarico di fronte all’invadenza politica che minaccia la mia autonomia e la mia libertà di scelta. Purtroppo, in mano altrui, sarebbero presto morti e/ o feriti gravemente e Palermo di scena (di cui si sarebbe cancellato persino il nome) e il Festino.. Pazienza! Sarà per un’altra volta!
Ma proseguiamo nel racconto
Di Palermo di scena faceva parte il Festino, anzi il 14 luglio ne inaugurava lo svolgimento

IL FESTINO
Da saga paesana, ritorna ai fasti e alla spettacolarità barocca del Seicento,
almeno negli dal ’95 al ’97.

 

QUATTRO FESTINI PER SOMMI CAPI

 

IL FESTINO DEL 1995, IL 371°
Il primo del nuovo corso.

La sera del 14 luglio 1995, in quell'ora al limitare della notte, ora che volge al disio, quando la luminosità dell'aria si attenua, ma non è ancora scuro, nel cielo che sovrasta il piano della cattedrale, i palermitani videro il mare. E non era evento irreale o allucinazione collettiva ma creazione d'arte. Meduse, anemoni, alghe ondeggiavano alte, come viste da abitanti dì una città sott'acqua. Il tempo di uno stupore, misto ad attesa, e si fece buio. Allora, sotto una gran luce, sul tetto del Palazzo Arcivescovile, apparve un vascello volante, grande come quelli che vanno per mare, abbrunato, terribile e incombente. Portava la peste! Anzi la raccontava (ché la peste a Palermo c'era venuta davvero nel 1624 con un veliero carico di spezie). La sua ombra slittò sulle case vicine e sulla folla.

Poi, la nave veleggiò verso la cupola della cattedrale, che s'infuocò come presa da incendio, a rappresentare la difesa estrema della città dal morbo in arrivo. Allegoria di un male antico e, insieme, recente, altrettanto luttuoso e pestifero, come la mafia.

 

FOTO IN ATTESA DI PUBBLICAZIONE

 

Iniziava così (sotto la Direzione Artistica di Pino Caruso - Sindaco Leoluca Orlando) il 371' Festino. II primo del nuovo corso. E scorreva tutto per aria, da guardarsi con il naso all’in su, come bambini per i quali il mondo sì muove e vive sopra le loro teste. E quella nave emersa dal nulla, galleggiava lungo il corso simile a un uccellaccio. L'accompagnavano, ma in basso, sulla strada, strutture lignee a piramide, su cui grappoli dolenti d'uomini e donne supplicavano aiuto dal Cielo, piangendo i guasti della terra.
Ed ecco che, a simboleggiare speranza di guarigione, ai Quattro Canti, un Angelo appare, volante, trainato da una lucente luna. E chiama il Carro fiorito di Rosalia (realizzato su un bozzetto di Bruno Caruso), che sopraggiunge.
Cascate d'acqua nebulizzata, una a ogni cantone, scendono dai tetti, tremolano sulle facciate, sui balconi, e diventano per prodigio specchi. La Santa vi si affaccia. In effigie. Medesima in tutte, cangiante in ognuna. Una e quadrupla. Trasparente e luminosa. Mentre la musica solenne della ‘Tui nata vulnerati’, dallo Stabat Mater di Dvorak, traversa lo spazio, si rovescia sulla folla, mischiandosi al fruscio dell'acqua cascante.
"Viva Palermo e Santa Rosalia!" grida, iniziando una tradizione, il Primo Cittadino. E ne viene un'eco da tutte le bocche. E tra battimani e gioiosi "Evviva" procedono il Carro e i trabattelli dei penitenti verso la Marina. Ciascuno si accoda a formare un lento e lungo torrente di teste e di ventagli.
Quel terribile vascello, portatore di pestilenza e di morte, benché ancora oscilli su un velo di vento, sfiorando cimase e cornicioni, è ormai innocuo relitto, feticcio disanimato, diavolo caduto. Da Porta Felice, ingioiellata di luci, Rosalia vede il mare, quel mare dal quale va e viene il mondo. E dal mare fuochi di gioia zampillano nella notte, barocchi nella composizione, musicali nel disegnarsi, nel brillare e spegnersi. II Male è vinto. La città rivive. Miracolosa Rosalia, nella quale anche i non credenti si riconoscono, identificandola con l'anima della città. Ed è in ciò il vero prodigio della Santa: d'esser santa per chi santa la crede e simbolo per chi non crede ai santi.
Nasce così un Festino di altissima dignità artistica, eppur di intonazione popolare; certamente l'evento spettacolare di maggior rilevo non solo del Mediterraneo, ma d’Europa. Festa grande di una capitale che cerca, che ambisce convivenza laboriosa e serena. E vi convissero in quei rapidi anni (95/96/97) commozione e partecipazione e attenzione; a significare la voglia di una città di rifarsi bella e civile.
Palermo di Scena (di cui il Festino era prologo e parte) avrebbe dovuto esserne lo specchio e l'emblema.

  IL FESTINO DEL 1996, IL 372°

A appresentare e a raccontare ancora una volta la peste portata a Palermo da un bastimento proveniente da Tunisi il 7 maggio del 1624, la sera del 14 luglio 1996, un'edizione del Festino rinnova il tradizionale appuntamento dei palermitani con la Santuzza. Oltre 300 mila persone hanno assistito fino a notte inoltrata all'entusiasmante evento.
Questa edizione non sarà certo dimenticata," oltre che per il numero di spettatori, anche per l'esplosione di suoni, luci e colori. Un miscuglio di sacro e profano, con effetti speciali degni del migliore Spielberg".

A realizzarlo" per il secondo anno consecutivo, chiamo Valerio Festi, con i suoi collaboratori: Monica Maimone e Paolo Della Sega. Il tema della rappresentazione teatrale itinerante dura oltre quattro ore e configura l'allegoria del conflitto tra il bene e il male.  Sul piano di palazzo Reale (oggi sede della Regione Siciliana), c’è un drago verde e giallo, a forma di serpente, lungo oltre cento metri, che galleggia sulla folla. La sua lingua biforcuta guizza velenosa e dalla sua bocca schizzano fiamme contro Colapesce (Nicola Pesce all’anagrafe della leggenda), un colosso alto trenta metri (personaggio mitico, che raddrizzò una delle tre colonne storte che, sott’acqua, minacciava di spezzarsi e inabissare la Sicilia). Colapesce ha corpo umano e testa a forma di pesce, Il drago è il Male, Colapesce il Bene. In questa prima fase della lotta, il drago abbatte Colapesce.

 

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Intanto, rossi bagliori s’intersecano a mezz’aria, e sbuffate di fumo bianco fluttuano a investire mura e finestre del Palazzo Reale, sulle quali si proiettano gigantesche figure di diavoli sterminatori e smisurati scheletri orripilanti. Monatti, e becchini portatori di croci incandescenti sfilano lungo la strada che scende verso il mare. La cattedrale è tutta avvolta da teloni bianchi, simbolo di lutto, e s’incendierà al passaggio di Rosalia, a disinfestare l’aria dal morbo pestifero e purificare le anime contaminate dal peccato.
E ci sono angeli di ogni colore, che navigano sui tetti delle case, appesi a enormi palloni - azzurri, rossi, gialli - che seguono dall’alto il lento scorrere delle barche, che scivolano silenziose sulle loro ruote di gomma, sospinte da giovani in tuniche penitenziali e sandali di cuoio.
Sopraggiungono sfere trasparenti, come di cristallo, che, rotolando sull’asfalto tiepido, mostrano all’interno graziose fanciulle danzanti sulle note di una canzone triste. Figurazioni emblematiche si avvicendano lung l'itinerario della sfilata. Punto centrale e trionfale il Carro della Santuzza, ideato da Guerrino Lovato, alto e lungo 9 metri, pesante 3 tonnellate e ricoperto da 200 rose di materiale sintetico. 
Ai quattro canti, un angelo candido pende da una mastodontica mongolfiera azzurra  come fosse una luna, e va a togliere il velo dal volto della santa. In totale sono stati utilizzati, tra artisti e artigiani, 262 persone, molte delle quali provenienti dall'estero. Come i "Plasticiens Volants" di Tolosa, creatori del grande dragone gonfiabile che ha aperto la serata; o come "Les Elastonautes", anche loro francesi, impegnati in una serie di danze aeree e volteggi. Le grandi sfere volanti e luminose sono state invece create dagli spagnoli Jordi Castell e Quim Guixa. In conclusione sfolgorano i fuochi, e si accompagnano a musiche e canti, a celebrare il trionfo del Bene sul Male, nella sonorità solenne e maestosa delle musiche di Mozart e di Beethoven.

IL FESTINO DEL 1997, IL 373°

Sette Angeli Neri, incarnati da acrobati danzatori, planano su Palazzo Reale, sbarcati da una veliero di dimensioni pressoché reali, apparso nel cielo stellato, e ne discendono lungo la facciata, come ragni maligni, a infettare la città e la gente.

Le imponenti finestre della Reggia dei Normanni sono spalancate, e candelabri d’argento vi appaiono, sorretti da leggiadre pulzelle, a rischiarare le antiche stanze dei re di Sicilia. Dal pianoro sottostante, partono decine di carri stipati di manichini ingessati, spettrali come la luce della luna d’inverno, modellati a rappresentare i cadaveri dei morti di peste, mischiati a comparse e mimi, fasciati di lini bianchi, che danno corpo a lente agonie, con guizzi improvvisi di fittizia vitalità.
E altri carri, ma di fuoco e vampe, si avviano a tenergli dietro. E tutti scorrono verso la cattedrale dove, tra le merlature di pietra, fanciulle coperte di veli danzano, mentre i tamburinai battono mazze di legno sulle pelli d’asino dei tamburi.
Ai Quattro Canti ancora una luna naviga sopra le case e le strade, trainata da un Arcangelo dalle ali candide, intanto che quattro angeli volanti, agganciati a lunghi elastici, s’intersecano sfiorandosi per aria al centro del crocevia.

 

FOTO IN ATTESA DI PUBBLICAZIONE

 


Ma ad avventurarsi per la città e a percorrerla sino al mare non sono soltanto i carri dei defunti e degli agonizzanti ....ma anche zattere e natanti di vario tipo, affollati di marinai mezzi nudi e di donne che, come vestali si ergono sulla prua a scrutare la strada e la folla. E sfere colorate e luminose, e palle di paglia infuocate rotolano sull’asfalto a precedere il Carro della Santa, sontuoso e solenne. Vi si raffigura il monte Pellegrino, sulla cima del quale, circondata da ancelle, putti e vaporose nuvole di cartapesta, torreggia Rosalia.

E tutto e tutti, Santa e corteo, defluiscono da Porta Felice ornata di luci e di simboli della terra e dell’aria, verso il litorale, a guardare il mare e i pescherecci con le lampare, mentre, improvvisi, i fuochi si accendono e guizzano, e corrono sull’orizzonte, saltano verso la luna, si sdraiano come saette nel cielo della notte, e si sbriciolano in scintille sulle onde scure del mare, in sintonia e in sincronia con musiche d’orchestra, che si espandono per la città attraverso i televisori accesi delle case.

IL SINDACO DI PALERMO
a Pino Caruso

Prot. 4239 del 27/05/1997

Carissimo,
nel momento in cui si conclude il Tuo impegno di Direttore Artistico di Palermo di Scena (Festino compreso) sento il dovere di esprimerTi tutta la gratitudine per il lavoro che hai svolto, per l’affetto, l’entusiasmo e la competenza che hai voluto dedicare alla nostra città.
Gli anni di Palermo di Scena sono stati fondamentali nel segnare un grande cambiamento: Palermo era triste e ora è gioiosa; Palermo d’estate era una città vuota e noiosa, e oggi è piena di vita; di Palermo si parlava solo in occasioni di stragi mafiose e fatti di criminalità, di Palermo oggi si parla come una delle città all’avanguardia per offerta culturale (in termini di qualità e quantità).
Di questo cammino di cambiamento, di questo progressivo riappropriarsi della città, di questa rinascita dell’orgoglio di essere cittadini, di questa consapevolezza delle ricchezze della nostra città, Palermo di Scena è stato un tassello molto importante, insieme al recupero degli spazi che sono stati restituiti alla città, insieme alla bellissima esperienza della scuola palermitana che ha adottato i monumenti.
E così la scuola e la cultura, i bambini e i giovani, le migliaia di cittadini che hanno adottato i monumenti o che hanno vissuto con te e con tutti noi l’esperienza di Palermo di Scena sono diventati protagonisti in prima persona di un percorso comune che è oggi patrimonio acquisito della città.
Per tutto questo io sento di doverTi un grazie di cuore, a nome di tutti quei cittadini che ti hanno in questi bellissimi anni manifestato il loro affetto e la loro gratitudine.
Lo faccio nella certezza di saperTi sempre vicino a noi, a condividere le ansie e le speranze, gli entusiasmi e la preoccupazione per la nostra straordinaria e bellissima città.
Con amicizia, con gratitudine, con affetto. Leoluca Orlando

 

Città di Palermo
L'ASSESSORE ALLA CULTURA A PINO CARUSO
Prot. 232/A 19/06/1997

 

M° Pino Caruso

Carissimo Pino,
torno su un tema di cui abbiamo più volte parlato telefonicamente. È per me motivo di grande rammarico non averti direttore artistico di Palermo di Scena. La terza edizione in qualche modo chiude un ciclo, conclude un progetto; un ciclo e un progetto pensati da te, costruiti anno dopo anno anche con tante difficoltà ma con grande passione ed entusiasmo. I risultati sono sotto gli occhi di tutti; e il livello delle proposte che sono arrivate è la più grande testimonianza del credito internazionale che Palermo di Scena ha ormai raggiunto sotto la tua guida.
E penso all’affetto che tanti palermitani ti hanno dato in questi anni come riconoscimento del lavoro che hai svolto, un affetto speciale, come speciale è stato il tuo per questa città.

                                                                            Un caro abbraccio e a presto 
                                                                                     Francesco Giambrone

UN FESTINO A SCOPPIO RITARDATO 2001 - Il 377°

 

Il Commissario Straordinario dì Palermo, il magistrato Guglielmo Serio, richiama ‘il palermitano della Vucciria’ a occuparsi del Festino, il 377°. E il palermitano della Vucciria richiama Valerio Festi, ritenendo che non necessariamente un soggetto omologo nuovo (tra l'altro introvabile) occorresse a mutare modi e forme, bastava mutare gli uni e le altre, coinvolgendo magari nei festeggiamenti, oltre a santa Rosalia, tutte le dee del Mediterraneo (Tanit, Artemide, Atena e Vesta), a protezione della città.

ROSALEA TRIUMPHAT

ELEGIA PER LA SANTA VERGINE PATRONA DI PALERMO

E sfilano centocinquanta carri, ciascuno con una scenografia originale, tra fregi d’oro e torce di resina piccole e grandi, e vasi di terracotta, larghi e piatti con lumi e lumini di cera. E grandi cornici in corteo, una dietro l’altra, al centro delle quali dolci fanciulle sorridono e ancheggiano.
E ci sono, sui piani alti di Palazzo Reale, quattro libri sacri, enormi quanto i portoni di ferro dei castelli antichi. Qualcuno li legge in una lingua incomprensibile che giunge da tempi lontani, con voce forte e alta, amplificata dai microfoni. E la cattedrale e tutta avvolta a teli bianchi simboli di lutto.

 

FOTO IN ATTESA DI PUBBLICAZIONE

 

E volano tutti gli angeli del cielo e persino qualche demone dell’inferno. E appaiono dodici gigantesche quanto leggiadre damigelle, in abiti sfarzosi e variopinti, alte quanto una torre di fortezza. E ci sono bighe di rame e d’argento e dieci pariglie di bronzei cavalli rampanti, in lento e solenne cammino verso il litorale, dove a finire il giorno e la festività s’intrecceranno i giochi di fuoco e della musica…
E ci sarebbe altro, tanto altro, da descrivere e da dire, ma è preferibile lasciare a testimoni oculari e imparziali il compito di farlo; non senza aver prima rilevato come in quell’anno 2001, non ci fosse più la peste da raccontare, ma la voglia di costruire il futuro; sempre sotto la protezione della Santa e con la partecipazione dei cittadini, ché non c'è miracolo senza il contributo del miracolato.

 

IL FESTINO DEL 2001

 


 

 


Il carro di Santa Rosalia versione 2001...

 377° FESTINO 2001

Guglielmo Serio - Commissario Straordinario

Nicolò Maggio Salvatore Rocca - Vice Commissari

Rita Cedrini - Consulente per la Cultura

Giancarlo Drago - Consulente per la Comunicazione

Angelo Scuderi - Ufficio Stampa

Guido Valdini Giuseppe Giarratana - Servizi informativi

377° Festino di Santa Rosalia

Direttore Artistico - Pino Caruso

Ideazione - Valerio Festi

Regia  - Monica Maimone

I testi non firmati sono di Maria Luigia Dia (Santa Rosalia patrona di Palemo, Il Festino di Palermo) e di Giampiero Finocchiaro (La tradizione musicale popolare).


Questo il programma per quadri della festa del 14 luglio 2001, ideata da Valerio Festi, regia di Monica Maimone.

Prenderà il via alle ore 21 per concludersi oltre la mezzanotte.


PRIMO APPARATO

Piano del Palazzo Reale - La Patrona

Si comincia dalla roccaforte normanna, il cuore antico di Palermo. La Paleapolis, l’antica città, era una cittadella sulla collina dell’attuale Palazzo dei Normanni (o Palazzo Reale), delimitata dai fiumi Kemonia e Papireto. Probabilmente, qui si pose la prima pietra e si diede avvio all’avventura di una capitale nel mezzo del Mediterraneo. Rosalia, rifondatrice di città, restauratrice dell’ordine naturale, pone, con la sua liturgia di festa, un’ideale nuova pietra nel luogo in cui tutto ha avuto inizio. La petra di li petri, le spoglie mortali di Rosalia incastonate nella pietra del monte Pellegrino come un gioiello prezioso, diviene fondamenta del nuovo regno, del nuovo tempo, là dove i simboli del potere sono manifesti, in quel palazzo che, secondo leggenda, la vide ancora bambina e già presa dall’ispirazione divina.

L’azione scenica

Come nelle sacre rappresentazioni, si riproduce nel piano del Palazzo Reale uno spazio totale, nel quale tutti gli elementi contenutistici del racconto vengono presentati ed esposti. All’inizio è una voce recitante, una voce maschile, una voce antica; all’inizio è l’acqua purificatrice, che scende con nuvole bianche a coprire l’intera Torre Pisana, una delle torri superstiti del Palazzo Reale; è l’immagine replicata e speculare di Rosalia, che sorge da quelle pietre e da quell’acqua, immagine di fanciulla che si muove leggera sulla montagna, che danza nell’aria; all’inizio è la "scala degli angeli", rituale di ascensione, mezzo per porre in comunicazione cielo e terra; la scala invisibile, sospesa nell’aria, si anima di figure femminili in volo, esseri di luce che accompagnano la Patrona nella sua discesa tra l’acqua e la pietra verso Palermo. E poi, di nuovo, l’acqua che si sparge sulla terra e ricopre tutto il piano del Palazzo Reale e sale in morbide volute ad avvolgere uomini e cose. Ed ecco, in omaggio a Artemide e al suo mondo gemello, escono dall’acqua 10 carri trainati da 10 cavalli gemelli in sculture di rame e argento, proiettati in un salto verso il buio della notte. In omaggio ad Atena e alla sua inviolabilità, poi, giungono sfere trasparenti, perle di luce che avanzano fendendo la folla; all’interno di ciascuna una creatura bianca, eterea, intoccabile, che danza anch’essa leggera sospesa nel vuoto della sfera, come provenisse dalle cime del monte, dimora dl fuoco, colonna del cielo, sole di mezzogiorno che da ogni dove vede alzare nel cuore dell’antico Mediterraneo, mare medio tra le terre. Giungono ritte, ciascuna su di un alto carro che isola l’una dall’altra e loro da tutte, le 19 vestali di Estia-Vesta-Brigida. E i loro carri lasciano una scia di fiamme al loro passaggio, affinché il fuoco sacro tutti gli Elementi, rimando ad un mondo ancestrale Sinfonie litiche, dell’aria, dell’acqua, del fuoco si intrecciano in una danza panica, quasi un vortice sufi di innumerevoli donne. Si alzano, infine, sfere volanti che si stagliano all’orizzonte, e che prendono possesso del cielo della città. Alle sfere affrancate, volano nell’aria delle donne; affermano il loro primato sulle case, sui palazzi, sugli uomini. Solo le Patrone. 

Il Corteo - Primo Percorso

Si muove il Corteo lungo il Cassaro (corso Vittorio Emanuele), preceduto da un volo di angeli che si distaccano da Porta Nuova e volano fino alla Cattedrale, sostenuti da invisibili ali. Il Corteo è aperto dal Grande Carro della Grande Madre, e su di esso danzano gli Elementi e tutte le donne. Poi i 10 carri con i cavalli gemelli nella loro corsa verso la notte; le Perle rilucenti di luce, con le candide fanciulle sospese al loro centro; i 20 carri custodi del fuoco e della purezza; il carro-Nave, simbolo della Chiesa; il carro-Monte, simbolo della montagna sacra; il carro-Città, simbolo della Patrona. E su di esso, giovane, bionda e romita, Santa Rosalia.


SECONDO APPARATO

Cattedrale - La Rosa Mistica

L’intera cattedrale, reliquiario della santa, si muta in "rosa mistica", in onore della patrona, mentre essenze femminili danzano vestite d’aria rapite da un canto.

La cattedrale è simbolo di Palermo per il suo sincretismo di stili. Essa è segno, ancora, di trasformazione: quella di Palermo, in particolare, perché alla logica della trasformazione spirituale unisce una capacità architettonica di reinventare le sue pietre, i suoi materiali, per le dominazioni, le fedi, i culti. Come in una maraviglia barocca, la cattedrale muta a vista e si trasforma in un tripudio di rose e di stelle. Rose che volano, sipari di fiori che si materializzano dal nulla, verzure che si compongono a vista, scambio tra il vero e il verosimile, luci di stelle che occhieggiano tra i fiori; e su tutto, un grande sipario di bianco fuoco che scende ad accendere la trasformazione.

L’azione scenica

All’arrivo del Corteo, preceduto dagli angeli, una grande cascata bianca scende a velare l’immagine nota delle mura. Si accendono ovunque bianche luci che volteggiano nell’aria, come un grande sciame di lucciole. Si sollevano in volo tralci di rose, che ricoprono di un sipario ascendente le mura appena scoperte dal fuoco. Migliaia di petali di rose, gettati a vista da decine di fanciulle, scendono dalle mura della cattedrale fino a coprire l’intero giardino di un tappeto di fiori. Avanzano nel giardino della cattedrale sculture di verzura, si aprono e si sollevano cespugli di rose, si scoprono rampicanti, si compone un gioco coreografico di fiori in movimento. Le sculture di verzura, teatri di natura in movimento, entrano nel corteo. Si accendono, davanti alla cattedrale, grandi sculture di fuoco che rappresentano un cielo stellato.

Il Corteo - Secondo percorso

Continua il cammino del Corteo e muove verso i Quattro Canti. Si illumina il cielo del Cassaro, in omaggio all’arrivo della santa.


TERZO APPARATO

I Quattro Canti - La Polis

In questo quadrivio, che è cuore creativo della città da cui si dipartono le sue arterie principali, Rosalia si veste della cultualità di Atena. La verginità della dea nella cornice dei Quattro Canti diviene simbolo apotropaico per la sicurezza della città. Atena era detta Pallade (che vuol dire vergine) perché – si narra – aveva

mandato a Troia una statua con la sua effige modellata dalle sue stesse mani. La statua, il Palladio, la vedeva ritratta come nella versione che di lei farà Fidia nel Partenone, in piedi e in armi. Finché il Palladio fosse stato conservato nel cuore della città, Troia non avrebbe visto tramontare il sole. Inoltre, se Rosalia nel suo aspetto acquatico, ligneo, litico (Tanit) rifonda la Paleapolis sul colle del Palazzo Reale, ai Quattro Canti, nel suo aspetto etereo (Atena) rifonda la Neapolis: quella città fuori dalle mura che è la Palermo di tutti, e non solo del potere. Con Atena, Palermo incontra Atene; città sorella nel Mediterraneo, entrambe sedi di grandi innovatori del pensiero e dello spirito, entrambe votate interamente alla dea.

L’azione scenica

I Quattro Canti sono rivestiti da una candida tela. Il passaggio dall’uno all’altro palazzo è garantito da passerelle sospese nel vuoto a grande altezza, e visibili dal fondo del Cassaro. Una grande luce vìola il segreto delle bianche tele, e dietro appaiono sculture, statue, colonne, architetture prospettiche, l’immagine di una città classica. Tutto è bianco e luce, razionalità e bellezza, mirabile insieme delle cose costruite dall’ingegno umano. Al centro della passerella appare una grande interprete, visibile da tutti coloro che giungono dal Cassaro: la sua immagine è replicata quattro volte, per dare modo a tutti gli astanti di coglierla e fermarsi nel silenzio dell’ascolto. E la sua voce recitante (femminile questa volta) riprende il racconto, mentre scorre sotto di lei il Corteo che continua il suo cammino verso Porta Felice. Nel momento del trionfo della polis, avviene la sosta e la consegna, da parte dei rappresentanti dei cittadini, dei fiori alla Santa; subito dopo, il grido "Viva Palermo e Santa Rosalia!", che esplode come fervore di popolo ed espressione d’identità.

Nella foto in basso, Festino 1997,
l’allestimento scenico alla cattedrale


QUARTO APPARATO

Porta Felice, verso la Marina - Elegia

Qui il cerchio si chiude così come è iniziato. Nell’ultima tappa di questo percorso, in avanti verso la rifondazione della città barocca e indietro nel tempo

delle origini del culto, Rosalia è sovrana della terra. E si veste del culto di Artemide. Artemide come Brigida, come Rosalia, come Tanit, è la protettrice delle partorienti. A lei è consacrato ogni inizio, sia materiale, sia spirituale. Artemide è l’avvio al pensiero: come divinità degli specchi d’acqua, ella è il pensiero che riflette se stesso. Con Artemide, Palermo incontra Efeso, città capace di fregiarsi di una delle Sette Meraviglie del mondo antico. Porto e crocevia, luogo di incontro dell’Oriente come dell’Occidente. Così Efeso, così Palermo. 

L’azione scenica

Entra da Porta Felice un altro Corteo, che si reca festante incontro al Corteo opposto, proveniente dai Quattro Canti. È un gruppo itinerante di donne altissime (issate su una mobile struttura semovente). Gli abiti delle donne sono coperti da canne palustri e da licheni; i loro copricapi sono ornati di pietre e di piume. Queste Grandi Madri, imponenti e sorridenti, al congiungersi dei Cortei aprono le immense gonne che giungono fino a terra, coprendo la struttura che consente loro di muoversi con un traino invisibile. Ed ecco, un volo di uccelli che da ciascuna donna si diparte, spargendosi nel cielo in un frullare di piume e in un soave canto d’usignolo. Su Porta Felice, anello di congiungimento tra la città e il suo mare, un sipario di grandi abiti femminili, appesi a creare un rideau insolito e colorato. All’arrivo del Corteo, anche questi abiti si aprono, ed appaiono al loro interno specchi ricolmi di luce. Sulla scalinata a fianco di Porta Felice, donne creano sculture di fuoco, nelle quali si immergono, per uscirne intatte. Su Porta Felice, sullo slargo di piazza Marina, animali terribili composti di fuoco, che eruttano fuoco da fauci smisurate; animali di cui si coglie soltanto la scia di fuoco, animali riflesso di paure ancestrali, domate dalla dea, accolgono il Corteo, avvolgendolo in una spirale beneaugurante di fuoco di gioia. Il Corteo esce dalla porta, ed entra alla Marina. 



Festino 1997, il Carro trionfale esce dal Cassaro a Porta Felice

 
 

 

  COMMENTI DA INTERNET

 

PALERMO DI SCENA, VENT'ANNI FA: UNA CITTÀ IN SCENA
CI SIAMO PERSI DI VISTA.


Alfio Scuderi

Sono passati vent'anni esatti, era l'estate del 1995 quando Pino Caruso immaginava e costruiva intorno alla città di Palermo il suo primo Palermo di Scena. Non solo un Festival, ma un'idea di città spettacolo, un progetto culturale di coinvolgimento vero di artisti cittadini a fianco di artisti internazionali, un percorso in cui i luoghi della città, dallo Spasimo a Villa Trabia, dalla Biblioteca Comunale al Teatro Garibaldi, dai Cantieri Culturali a Piazza Marina, Piazza Magione, Villa Filippina si trasformavano in palcoscenici pubblici. La città così andava in SCENA, investendo e credendo davvero che la cultura potesse cambiare il volto di Palermo, che fosse la Cultura l'unica vera cura per combattere la mafia. Era il 1995 e io mi posso onorare di aver fatto da assistente a Pino in quell'incredibile avventura. Con Pino giravamo in motorino (il mio) tra i luoghi e gli spettacoli, in tutti, per salutare il pubblico, per ringraziare gli artisti, per ribadire che la CULTURA era davvero un investimento e non uno spreco, che Palermo di Scena era un'idea diversa di città, non solo una rassegna di spettacoli. Era il 1995, vent'anni fa e PALERMO DI SCENA inaugurava la sua prima stagione aprendo al pubblico le porte di VILLA TRABIA con un Recital inedito di CARMELO BENE!! Al termine dello spettacolo PINO CARUSO, salì sul palco per salutare e ringraziare il pubblico e disse loro: "Mi raccomando NON PERDIAMOCI DI VISTA",.Quella diventò la parola d'ordine che Pino, ogni sera diceva al termine di ogni spettacolo ai numerosi cittadini palermitani, un modo per fare squadra e per sentirsi parte di un progetto..... ma mi Sa che DOPO VENT'ANNI CI SIAMO PERSI DI VISTA!!!!.

Agosto 2015 Alfio Scuderi

UN CARRO ARRIPIZZATO

II tempi sono sicuramente cambiati dal festino n° 372 (1995: il più bello, a mia giovane memoria), i problemi della città aumentati, e nessuno sicuramente si aspettava un ritorno ai fasti di quell’edizione che vide la direzione artistica di Pino Caruso. Ma non ci si aspettava neanche un programma di festeggiamenti messo in piedi in pochi giorni, con un carro trionfale che definire “arripizzato” (termine che indica qualcosa fatto senza cura, messo insieme tanto per farlo, di fretta) è veramente poco, con un Consiglio Comunale che esita fino a ieri ad approvare il bilancio manco dovesse decidere di inviare il primo palermitano su Marte. Non mi aspettavo – ma mi rendo conto che avrei dovuto aspettarmelo – un sindaco che dichiara “non ho nulla da rimproverarmi” (bè, quando non si fa nulla, effettivamente, c’è poco da rimproverarsi). Anonimo 2015

UN FESTINO CHE PORTI TURISTI E GUADAGNI

Proprio perché i tempi sono cambiati (e in peggio) che bisognava allestire un Festino che portasse turisti e guadagni, come quelli di Pino Caruso, non un Festino che ha allontanato dall'evento anche i palermitani. E poi non sono solo i soldi a contare, ci vuole anche fantasia. A proposito, come mai il sindaco non si è rivolto alla fantasia e all'esperienza di Pino Caruso? Misteri della politica!
Anonimo 2015

UN INVESTIMENTO ECONOMICO, NON UNA SPESA

Pino Caruso, autore nel 1995 del primo Festino in senso moderno con i palloni volanti di Valerio Festi e Monica Maimone, due sere fa è rimasto a Roma. L´anno scorso fu lui a salire sul carro e a gridare «Viva Palermo e Santa Rosalia» al posto del sindaco che aveva disertato la piazza: «Spendere poco non  vuol dire risparmiare - argomenta - ai miei tempi il Festino era il primo appuntamento di un´estate di spettacoli, "Palermo di scena", che portava la città sulla ribalta nazionale. Si spendeva di più, forse, ma era un investimento. Si è perduto tutto perché non c´è la concezione di un´amministrazione al servizio della città.  Anonimo 2009
 
LA CITTÀ SENTE IL BISOGNO
(da Alfio Scuderi a Pino Caruso)

Dopo due anni di chiusura al pubblico, riteniamo indispensabile per la vita culturale della città che uno spazio come il Nuovo Montevergini, moderno centro culturale e di residenza artistica, venga restituito alla sua attività creativa. 
Perché dopo due anni di chiusura, la città sente il bisogno di uno spazio alternativo a quelli istituzionali, in cui poter esprimere linguaggi e proposte artistiche diverse. 
Perché  il Nuovo Montevergini é stato per la Città  uno spazio aperto alla creatività degli artisti e delle compagnie.
Perché oggi non c'è uno spazio pubblico destinato alla contemporaneità  ed alla ricerca, non c'è uno spazio destinato ai giovani artisti, non c'è un luogo attrezzato idoneo alle attività artistiche così come il Nuovo Montevergini.  
Perché la capacità della struttura e l'identità culturale acquisita non vada del tutto dispersa. 
Perché un luogo di cultura non lasci spazio al degrado e ad atti vandalici, continuando il suo costruttivo dialogo con il  quartiere in cui risiede e contribuendo alla crescita sociale dello stesso. 
Perché il Nuovo Montevergini é l'unico spazio dotato di una foresteria e di luoghi idonei a consentire residenze creative e artistiche così come sperimentato con successo. 
Perché in città si sente bisogno di un luogo di ricerca artistica pubblico, gestito secondo parametri di qualità e professionalità. 
Perché il Comune di Palermo ha investito risorse ed energie per sviluppare all'interno dello spazio un progetto, immaginando un luogo attrezzato ed idoneo alle diverse attività di spettacolo. 
Per questo chiediamo all'amministrazione Comunale che lo spazio venga riaperto al pubblico nel più breve tempo possibile e venga destinato, proseguendo il percorso avviato, alle attività culturali, alla ricerca, alla nuova drammaturgia, al teatro, alla musica, alla danza ed alle nuove espressioni artistiche.  
                       Un luogo chiuso é un luogo negato, un luogo inattivo é un luogo morto.
Posso contare sul tuo sostegno? Vorrei allegare le prime 100 firme di "amici" dello spazio. 
                                                                                                                                          
Alfio Scuderi

DISILLUDITI: LA CITTÀ NON SENTE NESSUN BISOGNO
(da Pino caruso ad Alfio Scuderi)

Caro Alfio, dimmi che posso fare e lo farò.
Ma non devi prendertela con i politici: una città non è come la fanno i politici, ma come la fanno i cittadini.  Tu scrivi “la città sente il bisogno di uno spazio alternativo a quelli istituzionali”. Disilluditi: la città non sente nessun bisogno: Ne avrebbe bisogno, e come! ma non lo sa.  Questo, i politici lo  hanno capito benissimo.
Caro mio, l'errore è nostro. O dei nostri genitori: non dovevamo nascere a Palermo. 
                                                                                                                                              
pino caruso

IL FESTINO DA CARUSO A KOUNELLIS il futuro impossibile di una città bambina

Il Festino di Santa Rosalia vive nella completa assenza di visione e progetto e racconta l’opposto di quello che rappresenta: una fotocopia di sè stesso anno dopo anno
Giovanni Callea Esperto di marketing territoriale e sviluppo culturale - 9 maggio 2018
Il carro di Santa Rosalia ai Quattro Canti di Palermo
Il Comune di Palermo ha pubblicato il bando per il Festino delle prossime due edizioni, in questi anni un grande momento di rappresentazione e narrazione della città. Questo non è avvenuto.
Si tratta, è bene sottolinearlo, di una grande festa popolare, fortemente identitaria per tante fasce della popolazione cittadina, sulla quale è comprensibile, legittimo e io credo anche necessario si provi a costruire una narrazione della città da veicolare oltre i suoi confini.
La storia del Festino moderno inizia nel 1995 sotto la direzione artistica di Pino Caruso e la produzione dello Studio Festi, una società con esperienza di eventi internazionali. In quella edizione furono poste le basi per una trasformazione del Festino da festa di folklore a strumento di promozione per la città.
Prima ancora che verso l’esterno fu una grande operazione verso l’interno della Città, un percorso di riscrittura, riappropriazione, orgoglio: sono gli anni della primavera. Se esiste un prima ed un poi nella storia recente del Festino lo si deve a quell’edizione che riscrisse la narrazione della festa nella Città.
Alla stagione di Pino Caruso seguirono gli anni delle produzioni della SeT di Tranchina e Scuderi. Il primo già collaboratore dello Studio Festi, ed il secondo di Pino Caruso. Cito tra tutte la controversa edizione diretta da Jerome Savary nel ‘99: un approccio che puntava su un riconoscimento e una proiezione internazionale della festa mediante regie di spicco.
Il tentativo di ribalta internazionale venne interrotto dalla prima edizione della sindacatura Cammarata quando si immaginò un ritorno anacronistico alle edizioni più antiche con la riproposizione del carro barocco di Rodo Santoro ed una processione lungo il Cassaro molto poco spettacolarizzata.
Subito dopo quel fallimento, in molti ricorderanno peraltro l’incidente che bloccò la processione per diverse ore, l’amministrazione Cammarata cambio direzione e riprese con le dovute differenze sul solco tracciato da Pino Caruso.
Con le direzioni artistiche di Rampello si torna ad immaginare il Festino come uno strumento di promozione per la città. La cifra stilistica di questa stagione è una forte teatralizzazione dell’evento.
Lo spettacolo vide l’introduzione di una nuova stazione, piano Palazzo, che offriva uno scenario più fruibile, in ragione di un’area più ampia coinvolta nella spettacolarizzazione.
Sono gli anni delle presenze di attori di profilo nazionale, tra gli altri Remo Girone, Jean Sorel, Roberto Herlitzka. E delle coreografie affidate a Daniel Herzalof, uno dei ballerini chiave dei Momix. Anche qui si ricorre a nomi affermati per dare lustro e visibilità nazionale all’evento.
Quelle edizioni non ebbero, nonostante gli investimenti anche negli uffici stampa, la ribalta nazionale che si sarebbe potuto immaginare e sulla quale si era investito.
Il motivo di questo insuccesso è un po’ nell’idea di fondo che basti un nome di grido per ottenere l’interesse nazionale di un evento, se questo evento non trova in se stesso le sue ragioni di specificità ed unicità.
In pratica il tema è la dicotomia tra contenitore e contenuto, che è alla base a mio avviso dell’uso dell’arte e della cultura quali strumenti di marketing territoriale.
Io credo che da questo punto di vista abbiano fallito in misura diversa un po’ tutte le edizioni successive a quelle di Pino Caruso; è mancata la capacità di rivedere il senso del festino, ricucendolo con linguaggi nuovi, innovando di volta in volta la struttura stessa.
Il Festino è diventato uno schema nel quale inserire dei contenuti, e nel fare questo raramente è stato esso stesso contenuto.
Va ricordato, per dovere di cronaca, che l’innovazione di Pino Caruso fu in qualche modo anticipata dall’edizione del ‘94 diretta da Mimmo Cuticchio, che già aveva in se, pur con mezzi ridotti, l’esigenza di una riscrittura poi messa in atto nel ‘95.
Nella seconda fase della sindacatura Cammarata regia e direzione furono affidate ad Alfio Scuderi, già variamente impegnato nei Festini precedenti con ruoli diversi.
In quei casi il profilo delle manifestazioni cercò nelle maestranze e negli artisti locali una sua ragione d’essere, anche per fare fronte alla crescente necessità di ridurre i costi del Festino ormai sproporzionati rispetto al ritorno mediatico auspicato ed ottenuto.
Anche in questa fase si punta su una proiezione artistica internazionale, ricordo per tutte il carro disegnato da Kounellis, con i cristalli di Swarovski usati per addobbarne la vela. Stiamo parlando di un’opera di arte contemporanea di valore altissimo, anche commerciale, abbandonata fino a qualche anno fa a Villa Giulia, che temo sia andata ormai irrimediabilmente perduta.
Nelle ultime due sindacature Orlando, si è andati verso una progressiva smobilitazione, edizioni nelle quali con budget sempre più striminziti si propone la riattualizzazione di uno schema sempre uguale a se stesso: un tema variamente declinato, un carro, una processione ed i fuochi a mare.
Sia chiaro le varie edizioni del Festino sono state curate quasi sempre da persone che conosco e che stimo professionalmente, tutti hanno fatto il meglio di quanto potevano nell’ambito del sistema di riferimento voluto dall’amministrazione comunale.
La mia non è una critica rivolta ai professionisti che hanno operato, io stesso ho collaborato a vario titolo in varie edizioni, ma intende essere uno spunto di riflessione più ampio sul senso di questo evento, sull’investimento che come collettività facciamo ed abbiamo fatto, ed in che modo lo abbiamo patrimonializzato.
Con tutte le diversità del caso a me sorge spontaneo il confronto con la "Notte della Taranta", un evento fortemente identitario nel Salento, che attingendo a contribuiti artistici i più diversi, ricordo tra tutte la direzione affidata a Stewart Copeland dei Police.
È riuscito a trasformarsi in un evento di riferimento e di valorizzazione economica per tutta l’area che rappresenta. Forse il caso più riuscito in Italia di marketing territoriale affidato all’arte ed alla musica.
Sul Festino a Palermo siamo molto distanti da queste prospettive. Le ultime edizioni sotto la guida Orlando sono un po’ l’apoteosi di questa assenza strutturale di visione e progetto. Lo schema di Pino Caruso assurge a format oltre il quale ogni possibile rilettura è resa impossibile.
La cristallizzazione della forma, che si ripete sempre uguale a se stessa, secondo gli schemi folkcloristici più consumati, toglie sempre più ruolo al direttore artistico, che è sempre meno parte di un progetto organico della città e che non ha un compito di visione complessiva e di contesto, ma diventa colui che esercita un atto artistico circoscritto all’evento e pertanto fine a se stesso.
Se guardiamo in linea prospettica a questi oltre vent’anni trascorsi dal festino di Pino Caruso, la cosa che più di altre risulta mancare è la capacita di valorizzare e storicizzare l’evento.
Ho già citato il carro disegnato di Jannis Kounellis andato distrutto, e che avrebbe potuto facilmente trovare posto in qualunque museo di arte contemporanea del mondo, se proprio a Palermo non si riusciva a trovare un posto; ma anche peggio, nessuno ha avuto cura di conservare disegni e bozzetti, non esiste un luogo nel quale sia possibile fruire di una narrazione storica, non esiste un archivio di foto, immagini, interviste.
Non esiste neanche un banale sito web, che sia luogo di memoria collettiva o dal quale assumere informazioni. In due parole non esiste memoria.
Le cose di cui parlo sono valore economico materiale, immaginiamo un museo del festino nel quale custodire le varie opere d’arte realizzate, le varie statue della santa, i disegni, i bozzetti originali, le maquette dei carri, i carri stessi. Ma è anche e soprattutto valore identitario, capacita di creare una narrazione e mantenerla nel tempo.
Avrebbe avuto senso venti anni fa creare una fondazione per il Festino, alla quale potessero contribuire anche i cittadini, con donazioni, come spesso avviene per le feste patronali in Sicilia.
E nella quale potessero avere voce rappresentanti delle istituzioni, degli artisti, dei cittadini, degli operatori turistici. Questo avrebbe rafforzato l’appartenenza e tolto potere all’amministrazione comunale, avrebbe tolto discrezionalità al sindaco ed all’assessore di turno, in favore di una continuità progettuale; sarebbe stato uno strumento in grado di riscriverne la struttura della manifestazione adeguandosi ai tempi ed ai linguaggi del tempo, alle esigenze di operatori e territorio.
Sarebbe stato un soggetto che avrebbe potuto curare, peraltro tra le altre cose, la creazione di un museo che potesse valorizzare anche l’esposizione del carro dopo la celebrazione, che è, come noto, meta dei devoti; ed in un percorso simbolicamente rilevante per la città avrebbe potuto esserlo anche per turisti e visitatori.
Tutto questo non è avvenuto, e temo non avverrà mai. Perché in realtà nessun amministratore vorrà mai dare corso ad un processo amministrativo che comporti perdita di discrezionalità da parte di chi amministra.
Ed a proposito di questa discrezionalità sarebbe da chiedere, a chi ha deciso il tema di quest’anno, il senso di questo tema e quale progettualità sottintende per la città: "Palermo sceglie di sentirsi bambina, capace di guardare con fiducia al futuro, capace di immaginarlo e costruirlo!"
Trovo in queste parole, scritte da qualcuno per il sindaco e per l’assessore, una retorica molto sterile unita ad una amara ironia.
Il Festino sempre più spento nella riattualizzazione folcloristica di se stesso, vive nella completa assenza di visione e progetto ed è chiamato a raccontare l’esatto opposto di quello che rappresenta: una fotocopia di anno in anno sbiadita dovrà raccontare la nostra illusoria capacità di costruire il futuro.
Un detto orientale dice il momento migliore per piantare un albero era venti anni fa. Il secondo miglior momento è adesso. Che dire, ho la sensazione che non abbiamo piantato nulla venti anni fa e che anche adesso non stiamo piantando un bel niente.
Buona fortuna a chi si aggiudicherà questo ennesimo ed inutile esercizio di stile.


www.pinocaruso.it 

Uff. Stampa Caruso - Nino Diliberto