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DUE NUOVI LIBRI DI PINO CARUSO

 

 

Reperibili on line: "Libreria universitaria","Amazon", "IBS" e simili;
e nelle librerie, 

 

O sono un genio e non se ne sono accorti,
o sono un cretino e se ne sono accorti.

 

 

 

"SE SI SCOPRE CHE SONO ONESTO,
NESSUNO SI FIDERÀ PIÙ DI ME"
 

Alpes editore

 

 

 

 "IL SENSO DELL’UMORISMO È L’ESPRESSIONE
PIÙ ALTA DELLA SERIETÀ"

 Alpes editore

 

Se è vero che, citando Cartesio, "La lettura dei buoni libri è una sorta di conversazione con gli spiriti migliori dei secoli passati" bisogna allora ritenersi molto fortunati. Il senso dell'umorismo è l'espressione più alta della serietà ci permette di dialogare con Pino Caruso senza doverci discostare dalla nostra dimensione temporale. L'Autore infatti esplora le mille sfaccettature del nostro tempo attraverso le sue storie e i suoi aforismi che suonano più come risposte a domande che non avevamo ancora formulato. Risposte che sfidano le nostre convinzioni e che non sempre sono quelle che desideriamo ricevere. Caruso unisce sapiente comicità e profondità regalando non poche risate ma anche innumerevoli spunti di riflessioni che lasceranno il lettore con il cuore più leggero e la mente più ricca. Scandaloso per novità di pensiero.

"Gli italiani (siciliani compresi) resistono a tutto, soprattutto ai miglioramenti.",  "In Sicilia abbiamo tutto. ci manca il resto.", "Tutti gli uomini sono uguali, tranne i razzisti che sono inferiori."
 Nino Diliberto, Ufficio Stampa Caruso. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. - www.pinocaruso.it

 

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              "APPARTENGO A UNA GENERAZIONE CHE DEVE ANCORA NASCERE"

(Eri-Rai-Mondadori - alla seconda ristampa, euro 10 circa)

Disponibile nelle librerie

(su ordinazione", oppure on line: Amazon - Libreria universitaria - IBS e simili).

Non è un libro di battute, ancorché spiritose, ma di aforismi sui vari temi dell'esistenza, di pensieri come illuminazioni, di riflessioni fulminanti, di storie come metafore, di racconti brevi, taluni anche autobiografici, dove l'uso del paradosso e della sintesi raggiunge un grado di profondità, a volte drammatico, ma più spesso esilarante, e tuttavia mai superficiale. Lo stile dell'aforisma di Caruso è breve - raramente supera una riga - tagliente, con un uso molto mirato dell'antitesi, e dimostra come l'umorismo sia l'espressione più alta della serietà. Scritto negli anni che vanno dal 2005 al 2013, pubblicato nel 2014. Nino Diliberto, Ufficio Stampa.

 

 

 

Per saperne di più, leggere: "Credenziali libri" e "Credenziali personali"

 

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"L'uomo comune"

 

 

"L'uomo comune" di Pino Caruso - racconti - Marsilio

 

Disponibile on line attraverso "Libreria universitaria", "Amazon", IBS e simili 

 

PINO CARUSO SCRITTORE AUTENTICO.

Pino Caruso è attore, cabarettista esilarante, personaggio dello spettacolo televisivo e ora scrittore; ma scrittore autentico: suo è un pregevole libretto di brevi racconti e aforismi. Più che di racconti si tratta di apologhi, in cui una certa arguta (e acuta) filosofia del quotidiano fa da sfondo didattico. C’è, in aggiunta, una punta di surrealismo… Caruso insegue continuamente il paradosso facendoci pensosamente sorridere, sembra che si diverta con sofferenza, che voglia comunicarci, vestito da clown, una tristezza informe, indefinibile, un male d’esistere senza quarti di nobiltà, un male quotidiano, piccolo-borghese, il male del ragioniere della porta accanto, e che, in definitiva, non si distingue molto da quello dei filosofi (per giocarli in ossimoro) Vattimo e Severino.
Scrive Caruso: “Non era morto, era semplicemente fuori di sé. E c’è una bella differenza: chi è morto non è fuori di sé; anzi forse è tornato definitivamente in sé”.

24 novembre 1987 - IL GIORNALE D’ITALIA

 

 L’UOMO COMUNE
Pino Caruso

UN PICCOLO CAPOLAVORO!

Scritto in un italiano sobrio ed elegante, questo libro è un piccolo capolavoro della letteratura italiana del Novecento.
CORRIERE DELLA SERA - ENZO BIAGI

 

AFORISMI COME GUIZZI D'INTELLIGENZA

 

Dovrebbe veramente consistere di sole citazioni il resoconto di un libro garbato e sulfureo, ironico ed elegante come lo è, nel porgere battute dal video o dal palcoscenico, il suo autore, Pino Caruso. Il quale tra ammicchi felpati e improvvisi guizzi d'intelligenza, distilla il suo 'io' più vero: ossia un'ulteriore maschera teatrale: quella dello scrittore che si compiace di paradossi, intrisi d'irridente e aerea follia. Pino Caruso aborre le ovvietà del senso comune; aspira a quella rara e superiore dote, esaltata da Oscar Wilde, che è un brillante, giocoso buon senso.

IL GIORNALE 27 aprile 1987 - INDRO MONTANELLI

 

Esilarante, brillante, paradossale... persino tragico

Reperibile in internet attraverso "Libreria universitaria on line",
"Amazon", "IBS" e simili
 

Per saperne di più, leggere: "Credenziali libri" e "Credenziali personali"

 

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Flaccovio Editore

"Il silenzio dell'ultima notte" di Pino Caruso (poesie)

Più facilmente reperibile on line

Libreria universitaria, Amazon, IBS e simili

 

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 IERI (E POTEVA ESSERE OGGI) A PALERMO

IL TEATRO, 
I FESTINI E BEN ALTRO

A cura dell'Ufficio Stampa Caruso

Negli anni 1995/96/97 Pino Caruso riesce a inventare e a gestire - sindaco Leoluca Orlando (un sosia omonimo dell’attuale sindaco che, per il resto - come sostiene Caruso - non ha niente che gli somigli) tre edizioni del Festino (a cui se ne aggiungerà una quarta nel 2001, di cui si dirà nel dettaglio in un altro capitolo) e di “Palermo di scena”, (manifestazione internazionale d’arte rinomata per il suo altissimo livello - teatro, cinema, letteratura, pittura, scultura, giornalismo, invenzioni di varia natura, eccetera). Quattro spettacoli a sera, più altri di pomeriggio per i bambini, nei luoghi più significativi e suggestivi della città: il Chiostro di Casa Professa, quello di Santa Maria del Gesù, il Teatro del Sole, Villa Trabia, i Cantieri Culturali alla Zisa, il Teatro Garibaldi, Villa Castelnuovo, Santa Maria dello Spasimo, Villa Garibaldi Villa Filippina etc) e la presenza di fantasisti, artisti di strada e delle bande musicali di tutto il mondo che, oltre a girare per la città, suonando e regalando allegria, si esibivano di volta in volta, al Palchetto della musica del Foro Italico, al Giardino inglese, al Palchetto della musica di Piazza Politeama, etc.

La città ha così scoperto spa­zi che non conosceva o che aveva dimenticato e i palermitani, soprattutto i meno abbienti, hanno avuto modo di assistere, forse per la prima volta, scopren­doli e apprezzandoli, a una commedia, a un balletto, a un concerto, allestiti non nei quartieri poveri ed emarginati (dove si era soliti portarli con l’unico risultato di perpetuarne l’emarginazione), non nelle piazze o per le strade, dove la precarietà strutturale e la fruizione gratuita, rumorosa e disattenta, ne avrebbero svilito il valore e mortificato il significato, ma in luoghi circoscritti e attrezzati.

In più, il pagamento di un biglietto (sia pure con un costo più simbolico che reale) ricordava agli spettatori che l'arte non è solo talento, ma lavoro e fatica. Il teatro non comincia quando si apre il sipario, ma quando si apre il botteghino.

Palermo di Scena, infine, coltivò l’ambizione di farsi mezzo per una nuova immagine della città, danneggiata da decenni di corruzione politica, d’incontrollate (quando non protette) attività criminali, cercando di cancellare il binomio Palermo-mafia, per sostituirlo con il binomio Palermo-cultura.

 

IL SINDACO DI PALERMO
a Pino Caruso

Prot. 4239 del 27/05/1997

Leoluca Orlando

 

Carissimo,
nel momento in cui si conclude il Tuo impegno di Direttore Artistico di Palermo di Scena (Festino compreso) sento il dovere di esprimerTi tutta la gratitudine per il lavoro che hai svolto, per l’affetto, l’entusiasmo e la competenza che hai voluto dedicare alla nostra città.
Gli anni di Palermo di Scena sono stati fondamentali nel segnare un grande cambiamento: Palermo era triste e ora è gioiosa; Palermo d’estate era una città vuota e noiosa, e oggi è piena di vita; di Palermo si parlava solo in occasioni di stragi mafiose e fatti di criminalità, di Palermo oggi si parla come una delle città all’avanguardia per offerta culturale (in termini di qualità e quantità).
Di questo cammino di cambiamento, di questo progressivo riappropriarsi della città, di questa rinascita dell’orgoglio di essere cittadini, di questa consapevolezza delle ricchezze della nostra città, Palermo di Scena è stato un tassello molto importante, insieme al recupero degli spazi che sono stati restituiti alla città, insieme alla bellissima esperienza della scuola palermitana che ha adottato i monumenti.
E così la scuola e la cultura, i bambini e i giovani, le migliaia di cittadini che hanno adottato i monumenti o che hanno vissuto con te e con tutti noi l’esperienza di Palermo di Scena sono diventati protagonisti in prima persona di un percorso comune che è oggi patrimonio acquisito della città.
Per tutto questo io sento di doverTi un grazie di cuore, a nome di tutti quei cittadini che ti hanno in questi bellissimi anni manifestato il loro affetto e la loro gratitudine.
Lo faccio nella certezza di saperTi sempre vicino a noi, a condividere le ansie e le speranze, gli entusiasmi e la preoccupazione per la nostra straordinaria e bellissima città.
Con amicizia, con gratitudine, con affetto. Leoluca Orlando

 

Città di Palermo
L'ASSESSORE ALLA CULTURA A PINO CARUSO
Prot. 232/A 19/06/1997

 Francesco Giambrone

M° Pino Caruso

Carissimo Pino,
torno su un tema di cui abbiamo più volte parlato telefonicamente. È per me motivo di grande rammarico non averti direttore artistico di Palermo di Scena. La terza edizione in qualche modo chiude un ciclo, conclude un progetto; un ciclo e un progetto pensati da te, costruiti anno dopo anno anche con tante difficoltà ma con grande passione ed entusiasmo. I risultati sono sotto gli occhi di tutti; e il livello delle proposte che sono arrivate è la più grande testimonianza del credito internazionale che Palermo di Scena ha ormai raggiunto sotto la tua guida.
E penso all’affetto che tanti palermitani ti hanno dato in questi anni come riconoscimento del lavoro che hai svolto, un affetto speciale, come speciale è stato il tuo per questa città.

                                                                            Un caro abbraccio e a presto 
                                                                               Francesco Giambrone


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CAMBIA SINDACO

Dopo Orlando, un altro sindaco. Trascorrono alcuni anni, durante i quali la città vive come può. "Palermo di scena" praticamente scompare, mentre tutti i vizi ricompaiono. I Festini di Caruso non si ripetono. Il nuovo sindaco, che probabilmente non ne avverte l'importanza, lesina i fondi.

 

                                            TORNA ORLANDO

Arriva il 2012. Orlando si ricandida a Sindaco. E telefona a Pino Caruso, chiedendogli un sostegno. Caruso pensa: "Vorrà riprendere il discorso sulla rinascita della nostra Città" (Festini e Palermo di scena, che, negli anni 1995/1996/1997, tanto  avevano reso in termini di immagine e di economia). Caruso scende a Palermo, concede interviste, rilascia dichiarazioni, durante le quali esprime la convinzione che tra i vari candidati, pur rispettabili, Leoluca sia l'unico che abbia esperienza, competenza, integrità morale per rimettere in piedi la città.
Leoluca viene eletto. 
Ma, inspiegabilmente,  interrompe con Caruso  ogni contatto. 

 

CARUSO IGNORATO

Ignorandolo completamente, nomina negli ambiti della Cultura (istituzioni e simili)  persone  certamente di indiscussa moralità (che è già gran cosa) ma non tutte di altrettanta specifica competenza nei settori designati.
Caruso, a scanso di equivoci, chiarisce: "
Leoluca non mi deve nulla: in circostanze analoghe gli ridarei il mio appoggio". Ma per l'aspetto pubblico - aggiungiamo noi - Orlando aveva e ha dei doveri verso la città.
E per l'aspetto personale, aveva e ha verso Pino Caruso il dovere della buona educazione.

 

LA CITTÀ NON È INTERESSATA

Ma il sindaco non deve preoccuparsi più di tanto: di quei Festini e di quelle “Palermo di scena”, nessuno, tranne un numero insignificante di cittadini, non più di sei, sette (ma Caruso nutre forti dubbi sul settimo), ha mai chiesto alla stampa, alle tv, ai social network, ai politici, al sindaco, che fine hanno fatto, nessuno ha protestato: evidentemente, per i palermitani ammesso che ne abbiano notizia, la vicenda non è di loro interesse. Ne consegue - afferma Caruso - che "una città non è come la fa la politica, ma come la fanno i cittadini.

 

"I siciliani resistono a tutto, soprattutto ai miglioramenti."

Dal libro di Pino Caruso
"Appartengo a una generazione che deve ancora nascere"
Rai Eri Mondadori


PINO CARUSO NON È PREVISTO

I Teatri Stabili solitamente si servono di un attore nativo del luogo, di chiara fama nazionale, non solo come riferimento artistico ma anche come richiamo per abbonati e spettatori.
Quest’anno (stagione 2015/16) Pino Caruso non è nemmeno in cartellone (quando per competenza specifica e precedenti nel settore: "Palermo di scena" e i 'suoi' Festini, ritenuti memorabili, gli sarebbe toccata la direzione artistica, se non altro nell’interesse del teatro stesso). E il “Non si sa come”, testo pirandelliano - da lui adattato, diretto e interpretato - andato in scena  (senza che il sindaco "onorasse" della sua presenza il debutto) il 14 marzo 2015, nonostante il successo di pubblico e di consensi (leggere "Credenziali teatro"), è morto dove  è nato; e questo è quantomeno un errore di gestione: uno spettacolo di successo si fa girare, sia per recuperare, in parte o in tutto, le spese di produzione, sia per promuovere il nome dell'Ente che lo ha prodotto. 
Ma il problema non è Caruso, bensì il criterio con il quale si gestisce la ‘cosa pubblica’.

 

FOSSE VERO, NON SAREBBE VEROSIMILE

Sembra che lo Stabile di Palermo voglia programmare le sue stagioni su un principio tanto semplicistico quanto stravagante, secondo il quale "bisogna accontentare tutti". Dichiarazione che alle orecchie dei professionisti del settore sembra uno scherzo. E io mi auguro che lo sia.
Un Teatro Pubblico (o Stabile, come volete)
non è un ente di beneficienza, non deve accontentare tutti, ma un fatto d'arte che  ha il dovere di privilegiare e selezionare il meglio, di accrescere costantemente il proprio prestigio: come il “Piccolo di Milano" e 'Il Festival di Spoleto', a citarne un paio. U
n’amministrazione comunale non fa elemosine che mortificano chi le riceve proprio nel momento in cui sembrano favorirlo. Soltanto un parametro di scelta basato sul merito, tutela la dignità di tutti; prevalesse la benevolenza o la carità, inclusi ed esclusi sarebbero relegati al ruolo di postulanti. Accontentare tutti, non significa scegliere il meglio, ma privilegiare gli amici, anche quando rappresentano il peggio. E questo non è un concetto civico, ma mafioso.

E c'è da immaginarseli gli Oscar americani,  i Festival del Cinema di Cannes, di Venezia e di Berlino che, invece di selezionare i film più importanti, cercassero di accontentare tutti, anche attori, registi e produttori di  nessuna rilevanza. O il Commissario Tecnico della nazionale di calcio, il quale, piuttosto che  allestire una squadra di campioni, si servisse di scartine perché deve accontentare tutti.  

 

CONCLUSIONE

Pino Caruso non vive e non lavora a Palermo. ci ha provato, ma è stato cacciato via, non da questo sindaco (che con l'attore scrittore palermitano è stato solo incomprensibilmente scorretto), ma dalla ignavia dei suoi concittadini, che, disinteressandosi delle sorti del teatro e della cultura, oltre a danneggiare se stessi (con l'aggravante di non rendersene conto - come annota Pino Caruso), consentono (per non dire acconsentono) che la politica peggiore ne faccia terreno di conquista. 
In una città della Sicilia, i cittadini sono scesi in piazza con cartelli, tamburi, tamburelli, tric trac, fischietti, trombette... ma a favore della squadra di calcio, estromessa dal campionato. Per settori in difficoltà, altrettanto importanti se non di più (come la cultura e d
intorni - per dintorni s'intenda l'economia) nessuno si muoverà (peggio: nessuno se ne accorgerà).
La politica trascura,  di conseguenza, quei settori ignorati dalla stragrande maggioranza dei cittadini, l'80% dei quali (ripeto: l'ottanta per cento) non legge e non va a teatro. Se gli italiani (siciliani compresi) frequentassero teatri e leggessero libri, la politica si guarderebbe bene dal trascurare la cultura (teatro incluso): non rischierebbe di perdere voti e consensi. 
È il numero che fa controllo.
Secondo Caruso, la politica, dunque, toglie ai cittadini quello a cui i cittadini hanno già rinunciato. Nino Diliberto. Ufficio Stampa Caruso
 

 

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LA STORIA DI 'PALERMO DI SCENA',
DEI 'FESTINI' 1995, 1996, 1997
È RACCONTATA
IN QUESTO STESSO SITO, ALLE VOCI
Palermo di scena - Festino - sindaco

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QUANDO LA SERA SI ANDAVA A VILLA TRABIA

Ci fu un tempo in cui la nostra città sembrava potesse innalzarsi al ruolo di capitale della cultura. Erano gli anni della "Primavera" di Palermo. Tutto cominciò quando la vecchia classe politica fu spazzata via e in città soffiava forte un vento di rinnovamento. Nel 1995 il sindaco Leoluca Orlando affida a Pino Caruso il compito di inventarsi un progetto culturale e di tradurre in forma spettacolare il desiderio di riscatto collettivo. Nasce così "Palermo di scena" manifestazione di cultura e spettacoli che va dal 14 luglio (giorno del Festino, innalzato a livelli d'arte) al 14 di settembre. Le bastano un paio d' anni per accreditarsi come una delle più imponenti manifestazioni estive d'Europa..."Palermo di scena", come lo stesso Caruso rivendica, si configura fin dall'inizio come progetto sociale con alcune finalità: stabilire un rapporto con il cittadino, invogliarne la socialità e il buon comportamento, fornirgli un' occasione di ulteriore crescita culturale, trasformare l'orgoglio di appartenenza alla città da sentimento astratto in strumento d' ambizione reale. I cittadini scoprono spazi che non conoscevano o addirittura avevano dimenticato: dalla chiesa di Santa Maria dello Spasimo al Chiostro di Casa Professa. Villa Trabia è straripante di pubblico tutte le sere. Dario Fo, Franca Rame, Ryuichi Sakamoto, Giorgio Albertazzi, Valerio Marino, Isabelle Huppert, Carlo Cecchi, Steve Lacy, Josef Svoboda, Nanny Loy, Carmelo Bene, Vincenzo Consolo, Vittorio Storaro, Lina Sastri, la compagnia spagnola Els Comediants, sono solo alcuni della miriade di personaggi che animano le sere palermitane. I prezzi dei biglietti sono popolari (più simbolici che reali: mille lire). "Palermo di scena" colleziona tre memorabili edizioni. La Repubblica 05/01/2014 - Maurizio Prestia

 

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 TESTIMONIANZE

 

di Anna Maria Mori, Luca Bonci, Iaia Vantaggiato e Laura Nobile

("Palermo di scena" e i Festini)

IL SOGNO DELLA CITTÀ APPESO ALLA MONGOLFIERA

 


Anna Maria Mori

 

PALERMO

"... Una città, Palermo, che sarà normale quando avrà lasciato alle spalle la convinzione che solo ciò che è brutto porta ricchezza... Verrà, deve venire il giorno in cui anche a Palermo lo sviluppo non sarà accumulazione di ricchezza ma armonia, e verrà, deve venire il giorno in cui anche a Palermo il bello e il lecito saranno sinonimi di sviluppo...": il sindaco Leoluca Orlando quasi a riconfermare la speranza delle parole che aveva pronunciato non molto tempo fa alla presenza del Capo dello Stato in visita a Palermo, è seduto per terra insieme alla gente della sua città a vedere ed applaudire il documentario di Valerio Marino "Ieri a Palermo" - Immagini della città dal l920 al 1955. È il 16 settembre, ultima sera di Palermo in scena, la manifestazione curata da Pino Caruso, aperta il l4 di luglio con un grandioso e nuovissimo Festino di Santa Rosalia, seguìto da migliaia di palermitani finalmente in strada per una festa e non un funerale, finalmente con lo sguardo in aria a seguire navi volanti, mongolfiere a forma di luna con angeli appesi, e fuochi d' artificio, e non con gli occhi a terra sul selciato macchiato di sangue di una delle troppe vittime della mafia. Il documentario dello "specialista della nostra memoria" (Marino ha firmato con Nicola Caracciolo "I 600 giorni di Salò", e, più recentemente, il bellissimo "Mal d'Africa"), la sera del l6 settembre alle 21, è stato proiettato in contemporanea in tutti e otto i luoghi che hanno ospitato la Manifestazione (l'Arena Aurora, la Favorita, la Biblioteca Comunale, il Teatro del Sole, Villa Filippina, Villa Trabia...), mentre le navi alla fonda, nel porto, suonavano tutte insieme le loro sirene. C'è stato il 'tutto esaurito' dappertutto: Palermo vecchia e giovane, borghese e proletaria, ingenua e acculturata, tutta insieme ha applaudito soprattutto a un' mmagine di sé finalmente diversa, festosa, lieve, "normale" per dirla con il titolo anche del libro di D'Alema. Ha applaudito, nel documentario di Marino reso poetico proprio dall' imperfezione delle sue immagini in un bianco e nero sgranato dall'età, la storia del suo cantiere navale, con le signore in cappello e veletta che, una dietro l'altra, eseguivano il battesimo delle navi, e, subito dopo, la bellezza dei famosi carretti (' Una biga per il Paradiso' era il titolo del siparietto all'interno del documentario); e poi le immagini di un lavoro che, a vederlo, sembrava allegro, ed era quello della raccolta delle arance e limoni; la costruzione della diga a Palazzo Adriano; il calcio con il 'tifo composto' di un pubblico di uomini beneducati che per esprimere il massimo della partecipazione e della gioia per la vittoria, si toglievano il cappello e lo sventolavano in aria; le immagini del giro di Sicilia; Tazio Nuvolari alla Targa Florio. Ovvio che, raccontando Palermo con le immagini conservate dall'Istituto Luce che ha coprodotto il documentario, Valerio Marino non potesse ignorare la mafia: l'ha fatto con grazia e rigore, partendo dai 'si gira' del film di Rosi Salvatore Giuliano, e stemperando le immagini 'finte' del film, in quelle vere della strage di Portella delle Ginestre. Il pubblico di Palermo si è specchiato in silenzio nelle sue tragedie di sempre, ma è stato grato a Marino di non essersi limitato a quelle: l'applauso finale, lunghissimo, che ha salutato la conclusione dell' estate palermitana di Caruso, e la fine del documentario di Valerio Marino, era anche un applauso, grato, alle immagini belle della Palermo viscontiana dei grandi matrimoni, con tutto il fasto e la bellezza dei veli, dei rasi con lo strascico, per esempio dei Principi di Piemonte, o di Isabella d'Orléans andata sposa al Conte di Parigi. "Il tormento di questa città è la constatazione che la cultura si è fatta barbarie usando il bisogno di cultura": era sempre nel discorso di Orlando a Scalfaro in visita a Palermo nel giugno scorso. Ed era davvero bello assistere al 'cambiamento': ed era la proiezione del filmato all'interno di un luogo quasi magico, restituito da soli due mesi alla città. Si chiama 'Lo Spasimo', è una specie di città murata all'interno della Città, e si compone di una Chiesa, unico esempio di architettura gotica a Palermo, con annesso un ospedale dalle cui finestre gli appestati potevano seguire le funzioni religiose. E dietro, tutto intorno, su quelli che erano i bastioni della città, sono tornati a fiorire anche gli antichi giardini. Fino a poco tempo fa era una discarica. Il preventivo per il restauro era di sette miliardi di lire. È stato realizzato, e in tempi brevissimi, con cento milioni, impiegando per i lavori quattro cooperative sociali di ex detenuti o comunque di soggetti a rischio. È giusto che a Leoluca Orlando che firma autografi come un attore, brillino gli occhi quando spiega: "È bello che questo luogo - quel che resta di questa basilica grandiosa in cui, sulle rovine di tutti questi anni, ad aggiungere bellezza, è anche cresciuto un albero enorme - sia restituito alla città. Ma io sono anche molto contento che, a restituirlo, sia stata proprio quella stessa criminalità che ha tolto a Palermo la sua vera ricchezza e il suo patrimonio anche culturale"

 

21/09/1995 Anna Maria  Mori

 

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IL FESTINO DEL 2001, il 377°
Il quarto sotto la direzione artistica di Pino Caruso
(le altre edizioni sono degli anni 95, 96, 97)

 

RICORDI SICULI (14/01/2002) 


Luca Bonci

Un freddo primo gennaio è sicuramente il giorno adatto per tornare con la memoria al bel percorso siciliano che abbiamo compiuto la scorsa estate. Colori e calori così distanti in questo momento, ma ancora così vivi nella mente.
Palermo e il suo Festino del 14 luglio 2001.
Un comune uso palermitano è quello di indicare col diminutivo individui o eventi grandi e importanti. Così se vi capita di arrivare a Palermo il 14 luglio e vi annunciano, per la sera, il Festino, preparatevi con cura. Non ve la caverete, infatti, con due passi dietro a una processione religiosa o con uno spettacolino in piazza. Il Festino, ossia la celebrazione della patrona Santa Rosalia, la Santuzza - ancora al diminutivo, è la più importante festa della città, in ricordo del salvataggio dalla peste di 377 anni fa. Ma di cosa si tratta? Di una festa religiosa? Niente affatto, anzi di un grandissimo evento pagano, ché la processione religiosa si tiene il mattino seguente. Un esempio in grande scala di quanto è accaduto in molte parti della Sicilia. Quasi viene da pensare a una specie di concordato, tra popolo e gerarchie ecclesiastiche, che lascia a quest'ultime la celebrazione dell'evento formale e al primo la sostanza della festa. Dobbiamo dire che spesso queste moderne perpetuazioni delle feste popolari lasciano assai delusi, al folklore si sostituisce l'affare turistico e al fervore cittadino un’abitudinaria e un po' stanca partecipazione. Non abbiamo avuto questa impressione vagando per la città sicula. La festa, imperniata su di una processione allegorica, permea la città intera, dal normanno Palazzo Reale, al Duomo, al lungomare. Ogni anno la coreografia si rinnova e quest'ultima, a cura di Pino Caruso, ci è sembrata veramente impressionante. Si celebra Santa Rosalia, ma si parte dall'origine del mito, dalle connessioni storiche e geografiche che legano Palermo al Mediterraneo culla del mondo. Ed ecco così, di fronte al Palazzo dei Normanni, un grande quadro che mescola suggestioni classiche e postmoderne, mitologie e fantasie. Acrobati e ballerini appesi a palloni aerostatici si muovono al suono di musiche arabeggianti e canti in una lingua che non riusciamo a decifrare (un dialetto antico?), grandi libri sono sfogliati sulle mura del palazzo, a significare il procedere della Storia, e poi la processione, che inizia a snodarsi verso la seconda tappa, alla cattedrale. La apre una grande chiatta con reminiscenze mesopotamiche, un drago accovacciato che circonda una piattaforma dove danzano eteree fanciulle, rappresentazione più che pagana della discendenza mediterranea della santa. Poi arrivano gli acrobati, stavolta sospesi al centro di enormi sfere trasparenti che rotolano sulla via, e poi una lunga fila di cornici fiammeggianti, ognuna con all’interno una ragazza che cura e alimenta fiamme disposte in modo sempre diverso. Seguono una decina di grandi bighe trainate da cavalli d'acciaio e popolate ognuna da una coppia di ballerine che si muovono all'unisono. E la santa? Eccola, a chiudere la lunga fila, una bronzea Santa Rosalia nascente da una conchiglia con ai piedi la città. Il tutto a forma di galeone con tanto di polena a foggia di guerriero spagnolo e fianchi piumati, mosso da grandi ruote come un tecnologico ippogrifo. Una specie di veicolo alla Mad Max, rilucente e iridescente. Uno spettacolo veramente suggestivo, certo artefatto, ma nella sua inaspettata modernità in grado di suscitare emozioni più di tante false sfilate storiche.
Il secondo quadro di fronte alla cattedrale è altrettanto suggestivo: ieratiche ballerine su altissimi trampoli coperte da immense gonne si muovono con fare misticheggiante e giovanissime dame ballano su carri ricoperti di fiori, trainati da schiere di giovani a torso nudo e rossi pantaloni. E intorno Palermo, a completare l'opera, con le sue decadenti ville barocche, i tavoli apparecchiati per la strada per cenare o smazzare un paio di partite a carte. I vigorosi Ficus intrecciati a palazzi quasi in rovina e, su tutto, la folla. Immensa, mai vista tanta gente! Tanto multicolore quanto la città è una sovrapposizione di diverse architetture. Palazzi arabi e normanni, facciate barocche e rinascimentali da una parte, greci dalla chioma corvina e fulvi discendenti dei normanni, albanesi e siculi, scuri pakistani e qualche sinuosa africana dall'altra. Rari quest'ultimi nella processione, ma padroni nei vicoli. Attraversandoli per raggiungere il lungomare ci imbattiamo in una festa senegalese, in una piazzetta si mangia e si balla, e ci colpisce la ragazzina bianca, affacciata al terrazzo proprio sopra le danze, che con occhi sognanti osserva i ballerini.
Ci lasciamo trascinare dalla marea e arriviamo al lungo mare. Lì la stretta della folla si allenta e passeggiando tra banchetti da fiera ci mangiamo un gelato. Scende il corteo per il corso, e si avvicina il gran finale, uno spettacolo pirotecnico mozzafiato. Non saranno certo i primi fuochi d’artificio che vediamo, ma questi sono proprio fuoriclasse, per varietà, novità e, naturalmente, intensità.

Luca Bonci

 

 

 

 IL MANIFESTO 
Festino 377° del 2001

 

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ROSOLEA, UN FUOCO SEMPRE ACCESO


Iaia Vantaggiato

 

Palermo 18 Luglio 2001.

Palermo ha celebrato santa Rosalia, la Santuzza che salvò la città dalla peste nel 1624. Canti, rappresentazioni teatrali, danze, fuochi d'artificio e macchine sceniche barocche per un Festino che riecheggia il culto di antiche divinità femminili mediterranee, Tanit, Artemide, Atena e Vesta.
Fuoco, sudore e un'aria umida che sembra di nuotare. Palermo è un ricamo d'altri tempi, un po' sciupato ma di bellezza intatta. E nei vicoli assonnati del primo pomeriggio di un giorno di metà luglio - il 14 per la precisione, sempre lo stesso da quando, nel 1624, la città decise di stringersi intorno alla sua Santuzza e di ringraziarla per aver sconfitto la peste - vien voglia di tacere tanto gli altri sensi sono in continua all'erta. Colpiti dagli odori mediorientali che impregnano i muri della Vucciria insieme all'afrore dell'olio con cui ovunque si friggono panelle (piccole frittelle di farina di ceci, le bistecche dei poveri come vengono chiamate qui), dai colori delle spezie - pepe e peperoncino, zenzero e capperi, rosmarino e finocchietto di montagna - che trasformano mercati altrimenti "poveri" in una festa di gusti e sapori. Poi più giù, verso il mare, verso la Kalsa, sono le tinte del porto - e i suoi odori di alghe per troppo tempo lasciate al sole - che ti vengono incontro. E al tramonto, anziché scolorare, il cielo si accende mentre il pomeriggio ancora fatica a svegliarsi del tutto.
A questo punto fermarsi è impossibile. Palermo ti risucchia nei suoi vicoli, ti attira verso lo Spasimo, una costruzione a cielo aperto - ex cronicario, ex carcere - nel cui nome è racchiuso tutto il mistero della città. Che emoziona in ogni suo angolo, sia chela si guardi ‘con il naso in su’ (l’espressione è di Pino Caruso) cercando di catturarne i decadenti fregi barocchi sia che se ne si assaporino i continui contrasti: lo sfarzo del palazzo delle aquile, il sapore forte di una cucina preparata con ingredienti semplici, il mare che avanza a ridosso di un monte. Ed è proprio sul monte Pellegrino - luogo di culto dedicato a Tanit, dea della fertilità e alla Grande Madre - che, secondo la tradizione, Rosalia si manifestò a un cacciatore chiedendogli di portare le sue reliquie in processione per le strade di Palermo che così, dalla peste che l'aveva colpita, si trovò miracolosamente a guarire. Ma il vero miracolo di Rosalia, il suo prodigio sta - come ha scritto Pino Caruso, direttore di questa 377.a edizione del Festino - nel suo "esser santa per chi santa la crede e simbolo per chi non crede ai santi".
Così il Festino mostra un altro contrasto, quello tra sacro e profano e snocciola quest'anno il suo "racconto in movimento", l'arrivo della peste, la diffusione dell'epidemia, la guarigione e la redenzione - sui limiti di una narrazione pagana: Rosalia, anzi Rosolea come la chiamano ancora i palermitani, nell'interpretazione che ne hanno dato il direttore artistico Pino Caruso, Valerio Festi e la regista Monica Maimone, diventa oggi l'erede dei grandi culti femminili del Mediterraneo, Artemide, Atena, Vesta e Tanit. La caccia, la guerra, il fuoco e la casa ma anche lo Stato (perché la festa di Rosolea è anche un modo per confermare un patto sociale), la fertilità: "Io sono la città, il mio nome è molti nomi", recita - in uno dei quattro "quadri" del Festino - Isabelle Huppert. Rosolea, insomma, è l'ennesimo nome della Grande Madre: nell'acqua è Tanit, nel fuoco è Vesta, nell'aria è Atena, nella terra è Artemide. Ma è anche tutti i "nomi" di Palermo, le sue anime, le dominazioni che l'hanno arricchita e impoverita, le tante etnie che ancora la abitano senza paura di contaminarsi l'un l'altra.
Poi finalmente, a sera, Palermo si risveglia e si riversa per strada: il corteo sta per partire, ad aprirlo un grande carro. E' la prima, grandiosa, macchina scenica barocca. Lo stupore è assicurato solo a guardare l'enigma - un grande uovo - custodito tra le fauci di un serpente. E sul carro vestali che danzano. Altre ne seguiranno, ognuna incorniciata - e vestita di bianco - in un quadro: piccoli carri, stavolta, ma ovunque fuoco. Palle di fuoco che pure danzano, alberi di fuoco che si accendono, mani che custodiscono il fuoco e che col fuoco giocano sicure. "È la rigenerazione di una città - ci spiega Pino Caruso - che volevamo rappresentare, non più la peste simbolo di mafia". Una città nata a Piano Palazzo, nella roccaforte normanna, luogo della prima scena: una voce narrante, quella di Moni Ovadia, racconta l'inizio mentre una scala invisibile si anima di figure femminili in volo, l'acqua ricopre il Palazzo, sfere trasparenti - all'interno delle quali sono altre figure femminili danzanti - fendono la folla: le donne, in volo, "affermano il loro primato sugli uomini, i palazzi, la città. Sono le Patrone". Anche quest'anno il Festino è "fatto in aria": "Da bambino - dice Pino Caruso, ragazzo della Vucciria ormai cresciuto - quando mio padre mi portava al festino stavo sempre col naso in su. Tutto era alto e mi sembrava enorme. Così ho pensato, molti anni dopo, a un Festino fatto per aria. Un po' per tornare bambino, un po' perché - simbolicamente - era un modo per consentire al pubblico, a tutto il pubblico, a tutta la Palermo popolare di salire verso lo spettacolo".
Di fronte alla Cattedrale, resa ancora più suggestiva dalla cascata di luci bianche che la illuminano e dai petali di rosa che si sollevano in volo, la seconda scena: Rosolea, la Rosa Mistica, si moltiplica in essenze femminili vestite d'aria, in decine di fanciulle, di sculture di verzura che raggiungono il corteo. La Cattedrale è bellissima e il coro che si leva dal suo giardino impone senza difficoltà il silenzio alle migliaia di persone presenti: meraviglia barocca che - nel custodire uno spettacolare sincretismo di stili - ha mantenuto vivo lo stupore.
Dalla Cattedrale ai Quattro Canti, scendendo giù per il Cassaro. Passerelle sospese nel vuoto e l'immagine di Isabelle Huppert riprodotta quattro volte. "Il mio nome è molti nomi" recita in un italiano incerto. Ma che importa, arriva il corteo, la "Santuzza" è vicina e la Francia è lontana insieme alla sua dominazione. Palermo è tutta qui e, accaldata, percorre, insieme al Cassaro, la sua ritualità civica: il sindaco Orlando non c'è, al suo posto sarà il Commissario Guglielmo Serio a consegnare alla santa il fiore della città. "Viva Palermo e Santa Rosalia", dirà. Ma poiché la festa è pagana è bene dire che sono tre giorni che - ad ogni brindisi - la stessa frase viene ripetuta. Meraviglie - questa volta assai poco barocche - di una città a cui piace bere e mangiare. Così che, assai faticosamente, tra bancarelle ricolme di ricci, frutti di mare e babbaluci (lumache, per carità, non escargots) si raggiunge Porta Felice, l'ultima tappa del corteo, proprio di fronte al mare.
Ovunque ancora è fuoco che, liberato dal limitato spazio del Cassaro cui era stato costretto, esplode. Una gigantesca colonna di fiamme si alza nel cielo, il mare è pieno di barche, la città è - per un attimo - muta: aspetta il suo artificio, quello vero. E il cielo esplode illuminato a giorno: è l'ora dei fuochi, tanti, colorati, interminabili; è l'ora più attesa dai palermitani. E sotto i fuochi tacciono anche le ultime note del concerto in onore di santa Rosalia. Un concerto, anch'esso, affidato alle voci di tre donne, Filippa Giordano, Lina Sastri e Mariluz Cristobal Caunedo che canta sulle note delle cornamuse di Hevia. Palermo sembra avere un nuovo volto, forse la peste è finita. Pino Caruso e Valerio Festi, insieme alla Santuzza e alla città, hanno compiuto il miracolo. Viva Rosolea e le donne di Palermo, sante taumaturgiche anch'esse.

Iaia Vantaggiato

  

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 LA SANTUZZA RADDOPPIA
Due feste in una

 

“La Repubblica” 29/04/2001

Il Festino di Santa Rosalia raddoppia, chiude il sipario sulla simbologia della peste, e ricomincia dal mare ritrovato del Foro Italico. Una formidabile festa a stazioni, come tradizione comanda, che stavolta, però, al nastro di partenza, avrà due scenari diversi, pronti a dividersi lo spettacolo della rinascita della città. Il litorale della Marina, per cominciare, ma anche, simultaneamente, il percorso del Cassaro. Due feste in una, in simultanea, che si mescoleranno dopo la stazione di porta Felice, nel nome di una santa che stavolta sarà soprattutto una donna. Quest' anno si riparte dalla fine, dalla gioia, dalla liberazione dal Male, metafora di una città che è riuscita ad andare avanti. E così la grande Peste devastatrice e foriera del peccato, sarà esclusa dalla rievocazione simbolica, bandita dalla cerimonia gioiosa del presente. Lo assicurano Pino Caruso direttore artistico del Festino, insieme al regista dell' evento Valerio Festi e a Monica Maimone, curatrice della drammaturgia. Insomma, l'omaggio alla Santuzza torna alle origini, con la premiata squadra di Caruso che ha varato le storiche edizioni datate '95 96 e '97, e si appresta ad affrontare una nuova sfida. Una sfida con la magnificenza delle passate edizioni, secondo la tradizione del Festino, ma anche con i precedenti degli stessi autori: e così vedremo un «Festino donna» con tante comparse femminili che, dopo un mese di stage, evocheranno Atena, Artemide, le Vestali e altri miti mediterranei. «Il Festino di Palermo - dice Valerio Festi - è la più grande espressione contemporanea di un rito collettivo che affonda le sue radici nel barocco. La maggior parte delle feste tradizionali, infatti, ha un’origine rinascimentale, o addirittura medievale. Per questo, dopo aver riscoperto con le edizioni del passato, la grande meraviglia delle macchine sceniche di quell'epoca, ora proveremo a superare quelle grandi visioni collettive». Non cambia, ovviamente, la filosofia di fondo, ma si tratta di «declinare, in diversi luoghi del percorso storico, altri aspetti della festa barocca ancora inediti, o magari poco frequentati - continua Festi - Proveremo ancora una volta a rifondare il Festino, radicalizzando stavolta le sue caratteristiche: e questo significa esprimere le sue tensioni etiche, partendo, in ogni caso, dalla rappresentazione della devozione eterna della città per la sua Santa». Così, per onorare il recupero del litorale, la festa popolare partirà dal mare, e ospiterà lì una parte decisiva, con luminarie, e giochi di rievocazione capaci di destare l'attenzione e la meraviglia del pubblico che si assieperà oltre porta Felice. «Cercheremo di realizzare alla Marina una stazione che coinvolga i mestieri della festa, garanti della tradizione - dice ancora Festi - E le maestranze della città avranno senz'altro un ruolo fondamentale nella creazione di questo grande apparato». Dalle tradizioni delle antiche professionalità che restituiscono l'anima popolare del Festino, alla simbologia religiosa, che quest'anno punta sulla dimensione esclusivamente salvifica delle celebrazioni per la Santuzza. «La nostra intenzione - dice Pino Caruso - è quella di realizzare una grande elegia della Santa. Per questo non mostreremo la Peste e neppure la drammatizzazione del Male: sono elementi che abbiamo già rivisitato. Punteremo piuttosto sulla magnificenza della Santa e sulla concessione del suo gesto di grazia. Insomma, seguiremo la tradizione ma senza ripeterci». E così, il Festino 2001 accosterà le suggestioni di diversi miti femminili a quello della sua Santuzza, la nobile Rosalia Sinibaldi, che rinunciò fanciulla agli agi della vita mondana per ritirarsi a vivere da eremita, e che poi la tradizione identificò con la liberazione dalla peste del 1624. «L'immagine della Santa vergine e patrona della città è quella su cui ci siamo concentrati - dice ancora Festi - ma stavolta abbiamo intenzione di recuperare altri antichi rapporti con la divinità femminile». Insomma, una rappresentazione della Santa che terrà presente i cicli della rinascita e della fertilità, e l'eterno alternarsi di vita e morte, simboleggiati dalla latina Cerere e dalla greca Demetra, fino alla divinità fenicia Astarte, santa Brigida, e la punica Tanit, dea della fecondità. Il resto è storia, con il monumentale carro che anche quest'anno sarà reinventato e, a seguirlo, il corteo: si parte dal palazzo Reale, (e in contemporanea festa al Foro Italico), e poi il piano della Cattedrale, il passaggio ai Quattro Canti, e l'uscita a Porta Felice. È previsto inoltre un grande concerto di voci mediterranee, che potrebbe avere un ospite d'onore, per testimoniare l'intera drammaturgia. Insomma, la macchina organizzativa del Festino è già partita, mentre Valerio Festi annuncia uno stage dedicato ai palermitani, per reclutare figuranti, comparse e danzatori, e un impiego massiccio di donne palermitane. Dietro l'angolo sono ancora freschi i ricordi di "Rosa del ciel", il composito quadro realizzato l'anno scorso da Consolo, Bregovic e De Simone, i colori sgargianti del Festino cubano di Savary, l'anno precedente, e di quello delle poetiche visioni firmate da Scaparro nel '98 con l'aiuto dei Comediants. Ora torna in campo la squadra che ha rilanciato il Festino dopo varie edizioni sonnacchiose. Obiettivo: superare se stessi.

Laura Nobile

 

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FESTINO. PARTE IL CORTEO ED È SUBITO GIOIA
Poco spazio alle scene di morte, l'imponente sfilata di 80 carri.
Marcia verso la Marina all'insegna dell'ottimismo.
In trecentomila assistono alla parata

Puntuale, tradizionale e sempre più rinnovato, imponente e amato, barocco e moderno. Il Festino è tornato a brillare nella notte di Palermo, con lo straordinario corteo scenico a raccontare della città liberata dalla peste, grazie all'intercessione di Rosalia, la vergine del Pellegrino, la Santuzza. E anche questa volta, la gran folla non è mancata. difficile calcolare le presenze. Pino Caruso parla di trecentomila, assiepate da Porta Nuova a Porta Felice, per questa edizione numero 377. Comunque davvero tante.
Tutto comincia nel piano del Palazzo reale, il cuore antico della città, quella Paleapolis da cui tutto nacque tremila anni fa. E qui una grande cascata d'acqua purificatrice copre l'intera Torre Pisana, mentre alcuni angeli si librano in volo. Le aggraziate esibizioni aeree di Wmezhinka Nedeva, i carri con i cavalli, le sfere di luce. È il primo atto del Festino 2001, il colpo di gong che richiama subito l'attenzione delle migliaia di persone ritrovatesi fin dal pomeriggio  fra Villa Bonanno e Palazzo dei Normanni. Come sempre accade, la scaletta oraria salta praticamente subito. L'inizio, originariamente previsto per le 21, slitta fino alle 21,40. Ma, una volta avviato, il grande spettacolo marcia senza indugi, collaudato, imponente. Uno spettacolo che, a differenza degli anni passati, Pino Caruso, Valerio Festi e Monica Maimone, hanno voluto improntare all'insegna dell'ottimismo.. Insomma, poco spazio alla peste, al male, alle tenebre e grande trionfo di gioia, di luci, di speranza, di redenzione. Con l'immagine della Santuzza a campeggiare sulla folla e l'intero apparato scenico..
Il corteo di 536 metri si snoda lungo il Cassaro, con la Cattedrale che fiammeggia e viene ricoperta di petali di rose, la straordinaria voce di Isabelle Huppert che accoglie il grande carro ai Quattro Canti ingabbiati dai ponteggi (dove il commissario Guglielmo Serio porta i fiori fino ai piedi della statua al grido di "Viva Palermo e Santa Rosalia!")
, le Madri che risalgono da Porta Felice e vanno incontro al serpentone, i mostri che coprono di fuoco purificatore la Santuzza e il lungo corollario di figuranti. Nessuna contaminazione di carattere esotico (niente ballerine cubane o musicisti zigani, come negli ultimi due anni non curati da Pino Caruso, ma un richiamo mistico con omaggi ad Atena, Artemide, Vesta, Tanit. "Questa, più che una festa, più che uno spettacolo è una magia, grazie a Caruso e a Festi - ha detto Serio - Penso alle difficolta degli scorsi mesi, al rischio che la festa non si facesse, e ancora di più gioisco per questo meraviglioso evento che proietta Palermo sulla ribalta internazionale. è stato Caruso a togliermi le castagne dal fuoco"
È
in effetti un Festino dei grandi numeri, con i suoi 80 apparati (41 carri, 22 macchine sceniche, 17 strutture per il volo) e i suoi 512 costumi, con i suoi 600 fra artisti e tecnici e poi 100 metri cubi di polistirolo, 2000 fogli d'argento, 1.500 fogli d'oro, un chilometro tra iuta, tulle, velluto, lastre e reti. E due miliardi e mezzo di budget.
È un Festino che si spegne nella notte, quando gli occhi di migliaia di palermitani si staccano dal carro che ha appena attraversato Porta Felice per spostarsi verso il cielo che avvolge il Foro Italico. Pochi minuti ed ecco esplodere i botti, i tradizionali fuochi d'artificio, immancabile gran finale, la masculiata accompagnata dai ritmi della Carmina Burana di Carl Off. Poco più in là prosegue il concerto, aperto dalla splendida e accorata voce di Lina Sastri e dalla palermitana Filippa Giordano e ora completato dalla fascinosa cornamusa di Hevia.
Dalle splendide arcate del Loggiato di San Bartolomeo, messo a disposizione dalla Provincia, hanno assistito alla festa molte autorità. Ecco una notte di festa tutta palermitana.

 

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